venerdì 28 giugno 2013

Le radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Kung invoca un nuovo Concilio. Nel 2013? No...nel 1985

LE RADICI DELL'ASTIO NEI CONFRONTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI. LO SPECIALE DEL BLOG

Cari amici, eccoci al quarto tassello del nostro studio.
Siamo di nuovo a Kung che, negli anni, non ha mai cambiato strategia. Scrive un articolo in tedesco che poi viene tradotto in tutte le lingue. Allora, come ora, e' Repubblica che si incarica del compito per l'Italia.
Anche questo articolo, risalente al 1985, sembra scritto un giorno fa.
Kung rispolvera il suo argomento del cuore: un Concilio Vaticano III. Certo! Fa impressione la data di questa riflessione. A vent'anni dalla chiusura del Vaticano II si invoca la convocazione di una nuova Assemblea. E per discutere che cosa? I temi che ancora oggi sono sul tappeto per Kung: celibato dei preti, sessualità, liberta' di coscienza e di insegnamento della teologia (come se non ci fosse gia'!), apertura al mondo, ecumenismo all'acqua di rose etc.
L'articolo e' un attacco a Giovanni Paolo II ed all'allora cardinale Ratzinger.
Si parla addirittura di inquisizione. Ma dove? Ma quando? Vediamo oggi i frutti della liberta' di coscienza e soprattutto di insegnamento di tanti teologi, soprattutto nel nord Europa.
E' ancora piu' chiaro dove affondano le radici dell'astio nei confronti di Ratzinger-Benedetto XVI.
Egli, in perfetta sintonia con Papa Wojtyla, ha parlato della Verita' del Cristianesimo mettendo in guardia verso l'apertura indiscriminata alle istanze del relativismo.
Ovvio che questo approccio doveva essere fermamente combattuto da chi, invece, sognava una Chiesa che non parlasse chiaro ma in modo sfumato.
Se essa avesse dato retta a Kung gia' dal 1985 dove sarebbe ora?
Difficile dirlo cosi' come e' difficile non ammettere che Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, sul piano teologico, si sono scontrati con chi godeva della massima considerazioni sui mass media e nelle universita'.
Il potere della telecrazia...e ritorniamo alla splendida omelia pronunciata dall'allora arcivescovo di Monaco e Frisinga il 10 agosto 1978, a pochi giorni dalla morte di Paolo VI. Clicca qui per rileggere il testo.
R.

CHIEDO UN NUOVO CONCILIO


05 ottobre 1985 —   pagina 26   sezione: CULTURA


di HANS KUNG


E' VERO che il Concilio Vaticano II viene enfaticamente evocato da Giovanni Paolo II, così come da Ratzinger. Ma entrambi contrappongono a tutti gli "spiriti maligni del Concilio" il "vero Concilio", che, lungi dal segnare un nuovo inizio, è semplicemente la continuazione del passato

Gli innegabili testi conservatori del Vaticano II, imposti dal gruppo curiale (la "nota praevia" sui privilegi papali venne formalmente imposta al Concilio da Paolo VI), sono interpretati con lo sguardo rivolto risolutamente al passato, mentre le sue epocali aperture al futuro vengono ignorate in punti fondamentali: invece delle parole programmatiche del Concilio, di nuovo le parole d' ordine di un magistero autoritario; invece dell' "aggiornamento" nello spirito del Vangelo, di nuovo la cosiddetta "dottrina cattolica" tradizionale; invece della "collegialità" del Papa con i vescovi, di nuovo un irrigidito centralismo romano; invece dell' "apertura" al mondo moderno, di nuovo una crescente lamentazione e deprecazione del presunto "adattamento"; invece dell' "ecumenismo", di nuovo l' accentuazione di tutto ciò che è strettamente cattolico-romano; non si parla più della distinzione tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolico-romana, tra la sostanza della dottrina della fede e il suo rivestimento linguistico storico, e di una "gerarchia delle verità". 
Con tutto ciò il Vaticano non galleggia come un semplice turacciolo sulle onde di una corrente mondiale conservatrice. No, esso fa politica, molto attivamente e, per quanto riguarda l' America centrale e latina (come ha ammesso pubblicamente e con energia il presidente Reagan) addirittura in diretto accordo con la Casa Bianca. Il tutto senza preoccuparsi della delusione e della frustrazione della base: ad esempio persino i più modesti desiderata intraecclesiali ed ecumenici dei sinodi tedesco, austriaco e svizzero - che hanno lavorato per anni con idealismo e con largo sacrificio di tempo e di denaro -, sono stati respinti senza alcuna giustificazione da una Curia soddisfatta di sè; chi continua a interessarsi a che vengano accolti? E intanto il numero dei praticanti, dei battesimi e dei matrimoni in chiesa continua a diminuire... 
Nonostante tutto, il giuridismo, il clericalismo e il trionfalismo romani, pur aspramente criticati dai vescovi del Concilio, rinascono a vita nuova, ringiovaniti artificialmente e in veste rammodernata: soprattutto nel "nuovo" diritto ecclesiastico (Cic), che, contro le intenzioni del Concilio, non pone alcun limite al potere del Papa, della Curia e dei nunzi; anzi, riduce l' importanza dei Concili ecumenici, assegna compiti puramente consultivi alle conferenze episcopali, riconduce i laici alla piena sudditanza nei confronti della gerarchia e ignora sistematicamente la dimensione ecumenica. Questo "diritto" della Chiesa viene tradotto dalla Curia in una politica molto pratica, anche durante le frequenti assenze del Papa, mediante una quantità di nuovi documenti, decreti, esortazioni e istruzioni: dai decreti sul paradiso e l' inferno fino al rifiuto, altamente ideologico, dell' ordinazione delle donne; dal divieto della predicazione dei laici (ora valido anche per i relatori e le relatrici pastorali formati teologicamente) fino alla proibizione del servizio delle donne all' altare; dal diretto intervento curiale nei grandi ordini religiosi (elezione del generale dei gesuiti, statuto delle carmelitane, visita inquisitoria delle congregazioni femminili americane) fino ai ben noti procedimenti disciplinari nei confronti dei teologi
Al tempo del Concilio sarebbe sembrato incredibile: l' Inquisizione, che cambia continuamente il proprio nome (ora si chiama "Congregazione per la dottrina della fede") e un po' anche i propri metodi (ora ricorre a un tono più dolce, a "colloqui informativi" e ad azioni dietro le quinte), ma non certo i propri princìpi (procedura segreta, rifiuto della visione degli atti, dell' assistenza giuridica e dell' appello: la stessa autorità accusa e giudica), è tornata a lavorare a pieno regime, specialmente contro i moralisti nord-americani, i dogmatici dell' Europa centrale, i teologi latino-americani e africani della liberazione. Viene invece favorita con tutti i mezzi l' organizzazione segreta spagnola "Opus Dei", un' istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici e che questo Papa, il quale le era vicino già a Cracovia, ha sottratto al controllo dei vescovi. La catena delle contraddizioni si prolunga: un continuo parlare di diritti umani, ma nessuna giustizia concreta per i teologi e per le suore; violente proteste contro le discriminazioni nella società, ma all' interno della Chiesa la discriminazione viene praticata nei confronti delle donne; una lunga enciclica sulla misericordia, ma nessuna misericordia concreta per i divorziati e i sacerdoti sposati (circa 70.000, di cui 7.000 nella sola Germania) e così via. Anche sotto questo profilo, "anni magri". Più discordia che concordia Sull' utilità dei viaggi papali si è parlato molto nei mass media, e nessuno contesta che per singole persone e per determinati paesi questi viaggi abbiano avuto un significato positivo. Alcuni impulsi spirituali saranno pur scaturiti dagli innumerevoli discorsi, appelli e servizi religiosi. Ma per la Chiesa vista nel suo complesso? In molti paesi i viaggi papali non hanno forse suscitato grandi speranze di cambiamenti, speranze che poi sono state amaramente deluse? Forse che in una sola delle tante nazioni visitate si è fatto qualcosa di decisivo per migliorare la situazione? Per quanto riguarda la sua patria polacca, il Papa ha indubbiamente sopravvalutato la propria possibilità di imporre reali mutamenti politici; ed ora deve assistere impotente allo spettacolo di un popolo passato dall' entusiasmo alla rassegnazione. Nell' Europa occidentale e negli Stati Uniti, gli antagonismi tra quanti, nella Chiesa, guardano conciliarmente in avanti e i tradizionalisti, invece che superati, sono stati rafforzati e inaspriti; spesso, invece di curare le ferite della Chiesa, questo Papa le inasprisce, favorendo così, involontariamente, più la discordia che la concordia. Una censura vaticana preventiva impedisce per lo più che nei suoi viaggi il Papa si confronti con i veri problemi del clero e del popolo; egli non va per ascoltare, ma per insegnare. Quando però - come in Svizzera e in Olanda - è costretto a confrontarsi con domande non censurate, risulta evidente quanto poco, in realtà, il magistero abbia da dire sui bisogni più pressanti degli uomini e dei loro pastori. Ciò salta agli occhi soprattutto per ciò che riguarda i problemi delle donne. Contro le donne moderne, che cercano una forma di vita adeguata ai tempi, questo Papa conduce una battaglia quasi spettrale: dal divieto alle donne di servire all' altare al divieto della contraccezione, a quello dell' ordinazione delle donne e della modernizzazione degli ordini femminili. Ma non ci si illuda: la questione femminile è destinata a diventare sempre più il test di questo pontificato. In America latina, a causa della campagna vaticana contro la teologia della liberazione - oltre che per la "penitenza del silenzio" imposta al professore brasiliano Leonardo Boff e per l' indegno trattamento riservato da Roma a cardinali e vescovi latino-americani - il Papa ha finito per perdere la simpatia di cui godeva in quei paesi. Ora anche là ci si comincia a rendere sempre più chiaramente conto dell' ambiguità di molti dei suoi appelli sociali. E anche in Africa, dove all' inizio l' entusiasmo delle masse era particolarmente grande, si va diffondendo la freddezza, come è accaduto per i viaggi papali in Svizzera e in Olanda (dove per la prima volta sono stati notevolmente pochi i curiosi!): al di là di tutte le adesioni verbali all' "africanizzazione" della Chiesa, il Papa ha polemizzato duramente con la "teologia africana" e non ha dimostrato la minima comprensione per tradizioni tribali - certamente problematiche, ma profondamente radicate - come il "matrimonio graduale" (prima un figlio e poi il matrimonio) e il primitivo ordinamento poligamico (che, com' è noto, si incontra anche presso i Patriarchi di Israele), e anche il matrimonio dei preti, di fatto largamente tollerato. L' annuncio programmatico "Crescete e moltiplicatevi", fatto risuonare per tutta l' Africa, assieme alla condanna (in sè contraddittoria) dell' aborto e della contraccezione, secondo molti commenti della stampa, rende il Papa corresponsabile dell' esplosione demografica, della fame e della penosa miseria cronica di milioni e milioni di bambini. La canonizzazione come "martire della castità" di una suora assassinata e la consacrazione di una cattedrale (l' architetto è italiano) costata trentacinque milioni di marchi, la più grande dell' Africa, ad Abidjan nel cuore di una povertà indescrivibile, ignorano la realtà africana quanto le prediche in favore della continenza sessuale (o del metodo Ogino-Knaus) e del celibato. Molti si chiedono: a che servono tutti i discorsi sociali in favore dell' umanità, della giustizia e della pace, se la Chiesa risulta assente soprattutto su quei problemi politico-sociali ai quali essa potrebbe arrecare un contributo determinante? Ciò vale, non da ultimo, per l' intero campo dell' ecumenismo. E' triste constatare come in nessun punto, sotto questo pontificato, sia stato raggiunto un reale progresso ecumenico. Al contrario; i non cattolici parlano di campagne propagandistiche cattolico-romane del Papa, in quanto in pratica i loro rappresentanti vengono ricevuti come statisti, e non come partners di pari dignità. Tutto ciò ha portato al raffredarsi, estremamente preoccupante, del clima ecumenico, alla delusione e alla frustrazione tra le persone di sentimenti ecumenici di tutte le Chiese e, purtroppo, anche al rinascere dei vecchi complessi anticattolici di paura e degli atteggiamenti difensivi scomparsi durante i "sette anni grassi". Il Rapporto sulla fede di Ratzinger ci dirà chiaramente che cosa si deve pensare dei solenni discorsi romani in materia di ecumenismo. Il ristagno intraecclesiale e quello ecumenico - blocco dei mutamenti reali e inflazione delle parole inconcludenti - vanno di pari passo. Vescovi tra due fuochi Per fortuna, però, il movimento conciliare ed ecumenico, benchè ostacolato continuamente dall' alto, va avanti nella base, nelle singole comunità. La conseguenza non può essere che una crescente estraniazione della "Chiesa dall' alto" dalla "Chiesa dal basso"; estraniazione che arriva all' indifferenza. Più che mai oggi dipende dal singolo parroco e dai singoli laici impegnati che una comunità sia pastoralmente viva, liturgicamente attiva, ecumenicamente impegnata e socialmente interessata. Ma tra Roma e le comunità ci sono i vescovi; e ad essi in questa crisi spetta un ruolo decisivo. I vescovi - che in molti paesi d' Europa, America, Africa e anche Asia, sono notevolmente più aperti ai bisogni e alle speranze degli uomini che non molti curiali del quartier generale - si trovano attualmente tra due fuochi: quello delle attese della base e quello degli ordini di Roma. A volte il Papa in persona interviene presso di loro affinchè prendano pubblicamente posizione contro l' ordinazione delle donne o la contraccezione. Anzi gli càpita di andare addirittura in bestia se - di fronte alla crescente carenza di sacerdoti e a una pastorale languente (fra cinque o dieci anni non solo nella Svizzera di lingua tedesca, ma anche in altri paesi solo la metà delle parrocchie potrebbe essere curata da parroci!) - deve confrontarsi col fatto di decine di migliaia di sacerdoti sposati, i cui rappresentanti proprio recentemente hanno tenuto alle porte di Roma un loro proprio sinodo, chiedendo di venire riammessi al servizio della Chiesa. In vista dei mutamenti a lungo termine, per il Vaticano - come per ogni altro sistema politico - è di capitale importanza la politica personale. E in vista dell' attuale svolta della politica romana, il privilegio (riservato alla Curia dai casi della storia) delle nomine dei vescovi è indubbiamente lo strumento principale, se si prescinde dalle nomine dei cardinali, da sempre competenza di Roma, e dall' appoggio accordato ai teologi ligi al sistema. Solo poche diocesi hanno conservato alcuni limitati diritti dell' antica elezione del vescovo da parte del clero e del popolo (elezione che, come è noto, costituisce un fondamentale punto controverso anche tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese, che è favorevole all' autoamministrazione delle Chiese). La strategia a lungo termine di Roma (come conferma anche Ratzinger) è più che mai quella di sostituire l' episcopato aperto del periodo post-conciliare con vescovi dottrinariamente ligi (in maniera particolarmente deplorevole in Olanda; a Parigi, a Detroit e in Vaticano sono stati preferiti candidati di origine polacca o slava), che vengono sottoposti ad esame per ciò che riguarda la loro ortodossia ed impegnati con giuramento: press' a poco come avviene nell' Urss per gli alti funzionari. Ma non è soltanto nei grandi ordini dei gesuiti, dei domenicani e dei francescani che si avanzano riserve nei confronti del Papa autoritario; nella stessa Curia romana ci si lamenta e si ironizza sulla "slavofilia" del Papa e sulla "polonizzazione" della Chiesa. Un appello Lo strumento tattico adeguato alla strategia a lungo termine di un' ampia restaurazione e di una definitiva sottomissione dell' ancora troppo autonomo episcopato è, per il Vaticano, l' imminente sinodo dei vescovi. Esso si propone di verificare i risultati del Vaticano II e di formularne criteri interpretativi, le linee direttrici e le delimitazioni (cattolico - non cattolico!). Si noti bene: invece di un sinodo "ordinario" (per il quale i vescovi stessi potrebbero eleggere i loro rappresentati) Roma ha convocato, senza urgenza, un sinodo "straordinario". In questo tipo di sinodo hanno posto soltanto i presidenti delle conferenze episcopali: gente piuttosto conservatrice, e in ogni caso approvata da Roma. Non che essi abbiano potere decisionale, solo il papa può decidere; e in tal modo la collegialità, proclamata solennemente dal Concilio, in Vaticano è rimasta lettera morta. Anzi, a Roma si è quasi riusciti a ridurre il sinodo dei vescovi a un puro e semplice organo di consenso. Così anche in questo sinodo tutto è guidato ancora una volta dall' apparato curiale, che, già dal punto di vista numerico, con i suoi cardinali di Curia e con i membri di nomina pontificia, vi è super-rappresentato e che, oltre alla preparazione dei documenti nello spirito ratzingeriano, controlla saldamente anche l' ordine del giorno e l' orientamento dei lavori. La separazione tra i poteri continua a rimanere estranea al diritto ecclesiastico cattolico. E i teologi critici (per la Curia il Vaticano II è stato un deplorevole "concilio dei teologi") vengono tenuti lontani. Quindi, secondo la dichiarata concezione romana, le cose dovrebbero svolgersi molto rapidamente: in due settimane si conta di venire a capo di tutti i problemi. In verità, in queste condizioni, a un vescovo che volesse criticare l' attuale corso sarebbe necessaria la libertà apostolica di un Paolo che, secondo la sua stessa testimonianza (Galati 2, 11 ss.), "resistette in faccia" a Pietro, perchè "non si comportava rettamente secondo la verità del Vangelo"... Ad ogni modo le acque hanno incominciato a muoversi: un vescovo francese ha criticato il Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger come "proposte di vacanza" (propos de vacances), delle quali non si saprebbe dire se il rapporteur le esprime come privato, come teologo o come titolare di un ufficio. Ecco dunque le domande fondamentali: i conti della Curia torneranno anche questa volta? I vescovi diranno la verità? Esprimeranno - opportune importune - anche i "tabuizzati" bisogni e le speranze delle loro comunità e del loro clero? Spezzeranno, se necessario, l' incantesimo curiale, così come al Vaticano II lo spezzarono i cardinali Frings e Lienart, protestando contro l' intera procedura autoritaria e avviando un processo di riflessione? E' chiaro che i vescovi, come già i loro predecessori al Concilio, si troveranno di fronte a un difficile dilemma: o cercare il futuro nel passato e integrarsi nel corso restauratore della Curia romana (ma allora - come si è visto chiaramente in Olanda - dovranno affrontare una pericolosa prova di forza con l' episcopato, il clero e il popolo). Oppure progettare il futuro nel presente e, come già al Vaticano II, rischiare con libertà cristiana anche il conflitto con la Curia; in tal caso, patrocinando risolutamente la coerente continuazione del rinnovamento conciliare, si assicureranno l' ampio consenso del popolo e dei loro parroci. Dovrebbe far riflettere i vescovi quello che un gruppo di parroci di Monaco ha scritto a proposito del Rapporto sulla fede del loro antico vescovo (Sddeutsche Zeitung del 17/18 agosto 1983): "La nostra pratica pastorale ci ha fatto confrontare con alcuni infelici fenomeni derivanti dal rinnovamento conciliare; sappiamo però anche che una Chiesa che volesse ritornare a prima del Vaticano II, si allontanerebbe dalla società moderna e sarebbe destinata ad assumere un' importanza marginale. E chi - come Ratzinger - si eleva, in maniera così trionfalistica, al di sopra di tutto ciò che non è o non sembra essere cattolico-romano, si pone al di fuori di ogni possibilità di dialogo". In effetti, chi, dopo una rivoluzione come il Vaticano II, crede di poter restaurare l' Ancien Règime, si illude, come già si illusero Metternich e gli altri restauratori del "nuovo equilibrio". Di qui - in solidarietà con questi confratelli e innumerevoli cattolici - l' appello di un uomo che vent' anni fa, in qualità di teologo conciliare, contribuito alla configurazione del Vaticano II: al sinodo e nelle diocesi possano i vescovi agire come in quel Concilio. Possano essi impegnarsi, nello spirito del Vangelo e obbedendo alla propria coscienza, in favore delle comunità e dei sacerdoti loro affidati; ma in primo luogo in favore della gioventù, che vive sempre più lontana dalla Chiesa, e delle donne, che, a causa di una gerarchia maschilista, autoritaria e celibetaria se ne vanno silenziosamente in numero crescente; e anche in favore di quanti hanno fallito nel matrimonio o nei confronti della legge del celibato; dei teologi e delle suore, demoralizzati o ingiustamente puniti; dell' intesa definitiva tra le Chiese cristiane, del dialogo senza preconcetti con ebrei, musulmani e credenti di altre fedi, e, non da ultimo, di fronte al ritorno dell' Inquisizione, in favore della libertà di pensiero, di coscienza e di insegnamento nella nostra Chiesa cattolica. Un sinodo dei vescovi può raggiungere tutti questi obiettivi? No. Per questo, c' è bisogno di un terzo Concilio Vaticano. 

(traduzione dal tedesco di Giovanni Moretto)


© Copyright Repubblica, 5 ottobre 1985

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