lunedì 29 aprile 2013

Benedetto XVI: Sempre di nuovo le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza

Grazie al lavoro della nostra Gemma leggiamo questo bellissimo brano tratto dal volume di Benedetto XVI, "L'infanzia di Gesù".

Epilogo

Gesù dodicenne nel Tempio

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L'evangelista ci racconta che solo dopo tre giorni essi ritrovarono Gesù nel Tempio, dove stava seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava (cfr. Lc 2,46).
I tre giorni sono spiegabili in modo molto concreto: per una giornata Maria e Giuseppe erano andati verso nord, avevano impegnato un'altra giornata per il ritorno, e il terzo giorno finalmente trovarono Gesù. Anche se i tre giorni quindi sono un'indicazione temporale molto realistica, bisogna tuttavia dar ragione a René Laurentin che qui percepisce un accenno sommesso ai tre giorni tra Croce e Risurrezione. Sono giornate di sofferenza a causa del l'assenza di Gesù, giornate di un buio la cui gravità si sente nella parole della Madre: «Figlioperché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). 

Così, dalla prima Pasqua di Gesù si stende un arco fino alla sua ultima Pasqua, quella della Croce.
La missione divina di Gesù rompe ogni misura umana e diventa per l'uomo sempre nuovamente un mistero oscuro. Per Maria, qualcosa della spada del dolore di cui aveva parlato Simeone (cfr. Lc 2,35) diventa percettibile in quell'ora. Più una persona si avvicina a Gesù, più viene coinvolta nel mistero della sua Passione.

La risposta di Gesù alla domanda della madre è impressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve trovarsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Lc 2,49)? Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa. 

In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. 
Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Padre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù? Con ciò è direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli si attiene. Il figlio, il bambino deve essere presso il padre. 
La parola greca deî, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro (cfr. Mc 8,31). 
Questo «deve» vale già anche in questo momento iniziale. 
Egli deve essere presso il Padre, e così diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei confronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione. San Luca descrive la reazione di Maria e Giuseppe alla parola di Gesù con due affermazioni: «Essi non compresero ciò che aveva detto loro», e «Sua ma­dre custodiva tutte queste parole nel suo cuore» (Lc 2,50.51). La parola di Gesù è troppo grande per il momento. Anche la fede di Maria è una fede «in cam­mino», una fede che ripetutamente si trova nel buio e, attraversando il buio, deve maturare. Maria non comprende la parola di Gesù, ma la custodisce nel suo cuore e lì la fa arrivare pian piano alla maturità.

Sempre di nuovo le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza. La tentazione di ridurle, di manipolarle per farle entrare nella nostra misura, è comprensibile. Fa parte dell’esegesi giusta proprio l’umiltà di rispettare questa grandezza che, con le sue esigenze, spesso ci supera, e di non ridurre le parole di Gesù con la domanda circa ciò di cui possiamo «crederlo capace». Egli ci ritiene capaci di grandi cose. Credere significa sottomettersi a questa grandezza e crescere passo passo verso di essa.
In questo, Maria viene presentata da Luca mol­to consapevolmente come colei che crede in modo esemplare: «Beata colei che ha creduto», le aveva det­to Elisabetta (Lc 1,45). 
Con l’annotazione, ripetuta due volte nel racconto dell’infanzia, secondo cui Ma­ria custodiva le parole nel suo cuore (cfr. Lc 2,19.51), Luca rimanda – come s’è detto – alla fonte, alla quale egli attinge per la sua narrazione. Al tempo stesso Maria appare non soltanto come la grande credente, ma come l’immagine della Chiesa, che custodisce la Parola nel suo cuore e la trasmette.

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Da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, "L'infanzia di Gesù", Rizzoli 2012

1 commento:

laura ha detto...

"........La missione divina di Gesù rompe ogni misura umana e diventa per l'uomo sempre nuovamente un mistero oscuro. Per Maria, qualcosa della spada del dolore di cui aveva parlato Simeone (cfr. Lc 2,35) diventa percettibile in quell'ora. Più una persona si avvicina a Gesù, più viene coinvolta nel mistero della sua Passione...."

COME SON VERE QUESTE PAROLE E COME SON PROFETICHE. GRAZIE PER AVERLO RIPROPOSTO. QUANDO L'AVEVO LETTO, NEL NOVEMBRE SCORSO, NON AVREI MAI IMMAGINATO... PAPA BENEDETTO GIà SAPEVA TUTTO E C IHA LACIATO QUESTO REGALO BELLISSIMO. COME POTREMO RINGRAZIRLO? SOLO IL SIGNORE PUò DARGLI LA GIUSTA RICOMPENSA