lunedì 25 marzo 2013

Una staffetta di Spirito. Il dialogo tra i due Papi è stato qualcosa da iscrivere nel grande libro della Chiesa (Cervi)


Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Una staffetta di Spirito

di Mario Cervi

Credo che la giornata di ieri sia stata quella in cui l'universo cattolico si è davvero reso conto di cosa abbiano significato le dimissioni di Joseph Ratzinger, il primo passaggio della tiara e dell'anello pastorale, dopo secoli, da un vivo a un vivo. Fino a ieri la presenza dei due pontefici era stata contemporanea ma disgiunta, Francesco avviato sul suo cammino prodigo di parole e di gesti innovatori; Benedetto silenzioso e rinchiuso nel rifugio provvisorio di Castelgandolfo in attesa della dimora definitiva su questa terra. Ma ieri il popolo dei credenti ha potuto vedere insieme i due personaggi in veste candida che i cardinali (e/o lo Spirito Santo), hanno issato alla suprema dignità religiosa. Ieri è stato visivamente certificato che Santa Romana Chiesa ha due papi, il regnante e l'emerito, l'anziano teologo venuto a Roma dalla Germania e l'anziano primate d'Argentina che ha cognome italiano, che si proclama anzitutto vescovo di Roma, e che ha l'affabilità d'un parroco della periferia povera di Buenos Aires.
Tutto è stato apparentemente ordinario e tutto in effetti straordinario nell'incontro che l'ipocrisia protocollare ha definito privato: e che più pubblico di come è stato non poteva essere. 
Ratzinger, è apparso, in qualche momento, turbato e commosso. Bergoglio aveva l'abituale semplicità corredata da qualche simpatico atto maldestro (gli capita d'inciampare, anche nell'esprimersi). Il momento più umile e più solenne dell'incontro lo si è visto quando Papa Francesco ha rifiutato l'inginocchiatoio che a lui era stato riservato, e ha voluto stare nel banco accanto al predecessore, senza segni di superiorità. Mi verrebbe da citare il Manzoni «due potestà, due canizie, due esperienze consumate», ma Don Lisander si riferiva al padre provinciale dei cappuccini e al conte zio. Con due papi siamo in ben altro contesto (ma il linguaggio manzoniano sarebbe stato il più appropriato per cogliere l'essenza e i risvolti d'un evento come quello che la cattolicità ha vissuto).
Né il fragore delle pale degli elicotteri né le telecamere e le macchine fotografiche hanno potuto rendere banalmente attuale ciò che è avvenuto, hanno potuto cancellare la sensazione che il dialogo tra i due papi sia stato qualcosa da iscrivere nel grande libro della Chiesa, e da avvicinare alle altre sue pagine più significative. Forse resterà una documentazione delle parole che Francesco e Benedetto si sono scambiate durante quarantacinque minuti, e forse no. Azzardo una certezza. Per come sono e per cosa pensano i due successori di Pietro non avranno parlato né di Ior, né di pedofilia dei preti, né delle beghe curiali. Ci sono tanti altri cardinali e monsignori, nell'ambito dei sacri palazzi, che a questioni molto terrene e, chi lo nega, anche molto importanti, dedicano la loro fatica e i loro maneggi quotidiani. I due in veste bianca secondo me hanno soprattutto parlato di Dio, di come accostare la Chiesa vivente alla Chiesa ideale che sia il teologo Ratzinger sia il parroco Francesco immagina. Al confronto, il resto è poca cosa.

© Copyright Il Giornale, 24 marzo 2013

Nessun commento: