sabato 2 marzo 2013

Benedetto XVI, profeta e purificatore. Un Papa profeta, un sofferente che porta su di sé il peccato del suo popolo (Rini)

IL FILO ROSSO

Profeta e purificatore

Il Pontefice teologo ha posto come specifico della sua missione la purificazione della Chiesa. Il suo appello alla vita nuova dei cristiani lo mette a fianco dei grandi profeti dell'Antico Testamento e a quelli della storia della Chiesa, da Domenico a Francesco, da Ignazio di Loyola ad Antonio Maria Zaccaria, da Padre Pio a Teresa di Calcutta

Vincenzo Rini

“Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”.
Era il Venerdì Santo 2005 quando, nella Via Crucis al Colosseo, il cardinale Ratzinger dichiarava pubblicamente la miseria e il male presente anche nella Chiesa di Dio. Una consapevolezza, la sua, che lo portava ad aggiungere: “Signore... anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”. Quando mancavano pochi giorni alla morte di Giovanni Paolo II e alla successiva elezione di Ratzinger a Sommo Pontefice, il futuro Benedetto XVI indicava profeticamente quella che sarebbe stata una linea portante del suo ministero petrino: la conversione della Chiesa, l’appello a vita nuova dei cristiani.
Come non pensare, ora, al termine del suo ministero di Sommo Pontefice, ad altre parole, pronunciate tanti secoli fa da uomini inviati da Dio a chiamare il suo popolo a conversione? Come non ricordare Isaia che gridava: “Come mai la città fedele è diventata una prostituta? Era piena di rettitudine, vi dimorava la giustizia, ora invece è piena di assassini... Essi ostentano il loro peccato come Sodoma: non lo nascondono neppure” (Is 1,21;3,9). E anche le forti parole di Geremia: “Tra il mio popolo si trovano malvagi... oltrepassano i limiti del male” (Ger 5,26.28); “Nessuno si pente della sua malizia... Ognuno prosegue la sua colpa senza voltarsi...” (Ger 8,6.12).
Dall’inizio del suo pontificato Benedetto XVI si è presentato non come il Pontefice glorioso, ma come il servo sofferente, che vuole curare i mali del suo gregge senza incertezze, incurante del fatto che la sua dura condanna del male presente nella Chiesa potesse essere considerata da alcuni quasi un cedimento alle accuse dei nemici. 
Il Pontefice teologo, che nelle sue encicliche ci ha aiutato a leggere il volto di Dio nella carità e nella speranza, proprio a partire dal proprio magistero su Dio, la Chiesa e la vita cristiana, ha posto come specifico della sua missione la purificazione della Chiesa. Il suo grande amore a Dio si è così manifestato come amore indissolubile al popolo di Dio sempre peccatore, ma, ancor più, sempre chiamato a conversione. Il suo appello alla vita nuova dei cristiani lo mette a fianco dei grandi profeti dell’Antico Testamento e a quelli della storia della Chiesa, da Domenico a Francesco, da Ignazio di Loyola ad Antonio Maria Zaccaria, da Padre Pio a Teresa di Calcutta.
Un Papa profeta, un sofferente che porta su di sé il peccato del suo popolo.
Si può ben dire che proprio questo sia il filo rosso che attraversa il pontificato di Benedetto XVI: un amore totale alla Chiesa che lo porta a un impegno senza tregua per purificarla.
Molti sono gli scandali che negli anni del suo pontificato egli ha combattuto con forza. Uno fra i tanti, in particolare, ricordiamo qui: quello della pedofilia, per il quale ha emanato norme severe per purificare la Chiesa da questo peccato che è, allo stesso tempo, un delitto.
Nella consapevolezza che “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori”, ma “nasce dal peccato” dentro la Chiesa. E, nella lettera ai cattolici d’Irlanda, in seguito agli scandali là avvenuti, accusa con forza: “Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti”.
Così il Papa teologo si è fatto profeta, impegnato a costruire per il popolo di Dio l’epoca nuova della purificazione. Una profezia che lo ha manifestato come il Papa dei grandi dolori, delle profonde sofferenze, immagine di quel Gesù che si è sacrificato per i peccati della sua gente. 
Una battaglia condotta senza interruzioni, fino al giorno della rinuncia al pontificato. È proprio per il bene del popolo che Dio gli ha affidato che ha deciso di lasciare il ministero petrino, senza rinunciare a quello della preghiera per la conversione dei cristiani. Leggendo i suoi interventi dopo l’annuncio della rinuncia, appare, ancora una volta, la sua vocazione di purificatore della Chiesa, sottolineando la continua tentazione “di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio”. Aggiungendo che “quel ‘ritornate a me con tutto il cuore’ è un richiamo che coinvolge non solo il singolo, ma la comunità”. Notando come “il volto della Chiesa... venga, a volte, deturpato”; aggiungendo: “Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale”. E non dimentica di denunciare “l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione”.
Ora Benedetto il “purificatore”, lascia il passo ad altri, rendendo noto, però, ai fedeli di Cristo, che non si tratta di una fuga, ma di un’ulteriore scelta di responsabilità per il bene del popolo di Dio; lo ha affermato domenica 24 febbraio all’Angelus: “Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo, è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Ecco così la sua nuova/antica vocazione: servire la Chiesa, la sua purificazione, percorrendo un’altra strada. Non disimpegno, ma volontà di non compromettere, a motivo della malferma salute e della vecchiaia, il suo servizio di teologo, maestro, profeta, purificatore.

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