domenica 3 febbraio 2013

Per una fedeltà creativa. A colloquio con José Rodríguez Carballo ministro generale dei frati minori (Gori)

A colloquio con José Rodríguez Carballo ministro generale dei frati minori

Per una fedeltà creativa


di Nicola Gori


La questione della fede è cruciale per ogni cristiano, a maggior ragione per i consacrati. Da essa dipende la realizzazione della consacrazione in quanto tale e la testimonianza di vita. Senza questo dono non si può parlare di autentica vita religiosa e quando esso manca tutto è possibile, anche l'abbandono e la defezione dagli istituti. Ne parla in questa intervista al nostro giornale José Rodríguez Carballo, ministro generale dell'ordine dei frati minori, che fa il punto della situazione della vita religiosa a cinquanta anni dall'apertura del concilio Vaticano II.


Il processo di rinnovamento ecclesiale voluto dal concilio Vaticano II ha influito in modo determinante sugli equilibri che fino allora reggevano la vita consacrata, mettendo in moto energie, ma determinando anche ripensamenti e defezioni. Questo cammino si è concluso positivamente?


Il concilio Vaticano II è stato un soffio dello Spirito per la Chiesa e il mondo intero. La vita consacrata non può fare a meno di ricordare con gratitudine questa visita straordinaria dello Spirito Santo. In effetti è stato un evento che ha influito molto e molto positivamente nella vita dei religiosi e dei consacrati. Quelli che hanno ricevuto questa chiamata sono grati al concilio per averli sollecitati a un adeguato rinnovamento, tenendo conto della fedeltà a Gesù, alla Chiesa, al carisma del proprio istituto e agli uomini e donne del nostro tempo. Noi consacrati siamo grati al concilio per averci lasciato un messaggio che è quello della conversione e della missione. Siamo grati all'ispirazione che ci viene dal concilio e dal Magistero di questi anni. Noi consacrati abbiamo potuto acquisire una coscienza più ampia delle implicazioni della spiritualità dei carismi, del nostro impegno con gli ultimi e gli emarginati, della nostra disponibilità missionaria nei luoghi di frontiera. Grazie alla riflessione svolta all'interno della stessa vita religiosa e consacrata e guidati dagli ultimi Pontefici ci siamo centrati sui tre pilastri della vita consacrata: la spiritualità, la vita fraterna in comunità, e la missione. Oggi i consacrati dispongono di una buona riflessione biblica, storica, carismatica, ecclesiologica sulla loro vita e missione. E tutto è iniziato dal Vaticano II. Per questo riteniamo il Vaticano II come un grande dono alla vita consacrata. Certo, dobbiamo anche fare autocritica. Con Giovanni Paolo II riconosciamo che in questo cammino di rinnovamento non sono mancati momenti «delicati» e «faticosi» e che assieme a «speranze, tentativi e proposte innovatrici miranti a rinvigorire la professione dei consigli evangelici», abbiamo anche attraversato «un periodo non privo di tensioni e travagli» in cui non tutto è stato positivo. Con molta lucidità e con molta umiltà, in atteggiamento di minorità, riconosciamo i nostri errori, le deviazioni e le infedeltà. Ma allo stesso tempo, tutt'altro che scoraggiati per la mancanza di vocazioni in alcuni continenti e per il conseguente aumento dell'età media in non pochi istituti, ci sentiamo chiamati, in comunione con la Chiesa, a una maggiore «fedeltà creativa». Vorremmo dare maggiore significatività evangelica alla nostra vita e missione, «innovare» le nostre strutture perché rispondano più e meglio alle esigenze di ogni carisma, scoprire le nuove e grandi possibilità che ha oggi la vita consacrata nel rispondere alle domande esistenziali dei nostri contemporanei. Per tutto questo, si può affermare che il cammino iniziato con il concilio Vaticano II non solo è stato molto positivo, ma deve continuare in fedeltà creativa ed in comunione con il proprio carisma, con la Chiesa e con gli uomini e le donne del nostro tempo.


In quale modo l'Anno della fede potrà essere vissuto come nuovo impulso per la vita consacrata?


L'Anno della Fede, dono prezioso di Benedetto XVI alla Chiesa e quindi alla vita consacrata, è un'occasione propizia per ricordare il dono inestimabile della fede, per intensificare la riflessione su di essa e per una adesione «più cosciente e vigorosa» di noi tutti al Vangelo. So che sono molti i consacrati, direi la stragrande maggioranza, che stanno approfittando di quest'Anno per realizzare tutto questo. Noi consacrati siamo coscienti che una fede che non è professata, celebrata, pregata e confessata nella quotidianità della propria esistenza e della vita delle nostre fraternità non può dirsi tale; inoltre, siamo consapevoli che il modo di vivere la fede influisce decisamente sulle vocazioni e sugli abbandoni. Molti di questi abbandoni, in effetti, sono dovuti a una crisi di fede, che si manifesta all'inizio con un allontanamento dalla vita fraterna in comunità, con una missione individualista, e terminano con problemi di tipo affettivo. La fede è un dono prezioso che abbiamo in vasi di creta e dobbiamo fare molta attenzione. Nello stesso tempo dobbiamo dire che la crisi delle vocazioni è molto complessa. Ad esempio, in questa crisi colpiscono vari fattori: il momento critico che sta attraversando l'istituzione familiare, la diminuzione della natalità e l'ambiente di secolarismo che vive la nostra società. La crisi delle vocazioni e gli abbandoni sono una questione che merita un'approfondita riflessione e tanta preghiera in spirito di docilità a ciò che il Signore ci chiede. Personalmente sono cosciente del fatto che dobbiamo cambiare in molti atteggiamenti dinnanzi ai giovani di oggi e nella proposta vocazionale che rivolgiamo loro, così come nell'accompagnamento spirituale e vocazionale. Molti dei nostri istituti stanno facendo uno studio dettagliato e serio sulla fedeltà e perseveranza, così come sulla pastorale giovanile e vocazionale. Ma al di là dei risultati, lontani dalla tentazione del numero e dell'efficacia, alla vita consacrata viene chiesto oggi di vivere pienamente la donazione a Dio, essere «persone docili all'azione dello Spirito Santo che camminano spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della missione».


Uno dei punti delicati è il servizio dell'autorità. Troppe volte si è passati da un autoritarismo rigido a un permissivismo eccessivo, fino ad arrivare a fenomeni di aperta contestazione. Come riscoprirne l'autentico valore?


Il servizio dell'autorità è sempre un servizio delicato e di grande equilibrio, perché facilmente si passa dall'autoritarismo al lasciar «fare». L'esercizio dell'autorità secondo i criteri del mondo, come potere o privilegio, può anche essere una tentazione tra noi consacrati. È per questo che dobbiamo essere attenti, vigili, per non allontanarci dalla visione evangelica dell'autorità che è sempre servizio: il servizio di lavare i piedi, come ci insegna Gesù stesso. Tenendo presente che l'autorità «deve essere prima di tutto fraterna e spirituale... e chi ne è rivestito deve saper coinvolgere mediante il dialogo i confratelli e le consorelle nel processo decisionale», l'autorità nella vita consacrata non può cadere né nell'autoritarismo, né può abdicare al compito che le è proprio, in quanto animatrice e responsabile dei fratelli affidati. L'autorità in chiave evangelica sa dialogare, sa ascoltare, sa condividere le responsabilità, ma sa anche decidere e far sì che le decisioni vengano eseguite. Ciò contribuirà a rafforzare la comunione fraterna e promuovere un'obbedienza responsabile o, per usare un'espressione familiare a san Francesco d'Assisi, «una obbedienza caritativa». Nei diversi istituti, compresa l'Unione superiori generali, si è riflettuto su questo servizio, in diverse occasioni. La prossima Assemblea di maggio dell'Usg tornerà sul tema. Per questa riflessione abbiamo un documento importante, «Il servizio dell'autorità e l'obbedienza», promulgato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica nel 2008.


La formazione spirituale è un'urgenza per i nostri tempi. Può diventare un antidoto alla secolarizzazione?


La formazione deve essere integrale, «abbracciare l'intera persona», tenendo presenti tutte le dimensioni della persona: l'umana -- psicologica e intellettuale --, la cristiana -- in particolare nel campo della fede -- e la carismatica. Dato che l'obiettivo ultimo della formazione nella vita consacrata è di preparare la persona per la totale consacrazione a Cristo e alla missione, la formazione ad una solida e profonda spiritualità è irrinunciabile e prioritaria. Senza di essa non ci può essere nessuna configurazione o conformazione a Cristo, fine ultimo della nostra vocazione e, quindi, di tutta la formazione; né è possibile aspirare alla santità, sintesi cui deve tendere il programma di ogni vita consacrata. Chiamata ad essere una scuola di spiritualità evangelica, la vita consacrata deve privilegiare la sua qualità spirituale. Parlando di spiritualità, come si è sottolineato nel febbraio del 2011 durante il Seminario di teologia della vita religiosa, penso che questa dovrebbe essere una spiritualità unificata, che renda noi consacrati figli del cielo e della terra, una spiritualità in tensione dinamica, che ci faccia mistici e profeti insieme, una spiritualità di presenza, che ci converta in discepoli e missionari. Qui abbiamo attualmente una delle maggiori sfide della vita consacrata.


L'attuale formazione dei religiosi risponde alla necessità di una presenza sempre più solida ed efficace nel mondo della cultura?


È una delle mie grandi preoccupazioni, sicuramente condivisa da molti altri, dentro e fuori la vita consacrata. Credo che stiamo vivendo una crisi culturale molto forte all'interno della nostra società, una crisi che si estende alla Chiesa e alla vita consacrata. È vero che la vita consacrata conta su molte persone con titoli accademici. Ma la mia impressione è che i titoli non sempre vanno di pari passo con una solida formazione intellettuale adeguata ai tempi attuali. Una formazione che renda possibile il dialogo con la nostra cultura, senza complessi di superiorità, ma anche senza complessi di inferiorità. In questo senso, lo studio, che certamente richiede impegno, dedizione e disciplina, un investimento intellettuale prolungato, profondo e, senza dubbio austero, è un requisito per l'evangelizzazione e per il dialogo con la cultura attuale. Nella Chiesa, e in particolare nella vita consacrata, dobbiamo apprezzare lo studio come cammino per cercare, conoscere e apprezzare la Verità rivelata nel Verbo fatto carne, su Dio, sull'uomo e la creazione. Dobbiamo valorizzare lo studio e la formazione intellettuale come itinerario per essere illuminati da Dio nella mente e nel cuore, e così poter essere, con grande umiltà, testimoni, annunciatori e servitori della Verità e del Bene. Lo studio, come direbbe san Bonaventura, deve alimentare il “dialogo” tra conoscenza e devozione, tra ricerca e contemplazione, tra scienza e carità. Se la nuova evangelizzazione richiede «nuovi evangelizzatori», come ha detto l'ultimo Sinodo dei Vescovi, una formazione intellettuale adeguata alle esigenze del momento attuale è un esigenza per essere “nuovi” evangelizzatori, per proporre e promuovere un nuovo modello culturale.


Le forme di vita consacrata ormai consolidate nella storia della Chiesa sono messe in pericolo o vengono stimolate positivamente dalle nuove presenze di vita consacrata?


Non vedo alcun pericolo per la vita consacrata consolidata nel corso dei secoli a causa delle nuove forme di vita consacrata. Dal momento che tutto ciò viene dal Signore, le nuove forme di vita consacrata devono essere prese come un incoraggiamento per passare dal «buono al meglio» e per «avanzare di virtù in virtù» per quanti desiderano seguire “più da vicino” Cristo. Tenendo presente che ci sono molti elementi positivi nelle nuove forme di vita consacrata, queste devono stimolare quanti appartengono agli istituti consolidati non solo a ricordare «una storia ricca e gloriosa», ma anche a raccontare e a «costruire una grande storia». Ciò sarà possibile nella misura in cui la vita consacrata “classica” manterrà la sua forza profetica continuando ad essere fermento evangelico in grado di purificare la cultura contemporanea, penetrandola, con la forza rigenerante del Vangelo. Tale forza profetica le viene: dal primato di Dio e dei valori evangelici che la vita consacrata è chiamata a ravvivare continuamente; dalla ricerca appassionata e costante della volontà di Dio; dall'adesione a Cristo senza tentennamenti e al Vangelo sine glossa, così come da una profonda comunione con la Chiesa; da un'esistenza segnata dalla radicalità evangelica, offrendo così un'alternativa di vita a quella del mondo di oggi; da una vita fraterna in comunità, segno e profezia di comunione; dal vivere sine proprio, rivelazione che Dio è tutto per noi, «ricchezza a sufficienza» ed espressione di libertà dalle cose e libertà per il Regno; da un soprassalto di missionarietà e dalla generosa dedizione agli ultimi, ai poveri; da una formazione adeguata ai nostri tempi, molto umana ed insieme esigente.


(©L'Osservatore Romano 3 febbraio 2013)

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