domenica 3 febbraio 2013

La svolta di Beethoven. Zubin Mehta dirige l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino (Gallarati)

La svolta di Beethoven

Zubin Mehta dirige l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino


di Paolo Gallarati


Composta nel 1804, la Sinfonia Eroica era stata originariamente concepita come un omaggio a Napoleone Bonaparte, quando era ancora primo console, figura che Beethoven ammirava moltissimo come incarnazione vivente di quell'ideale di libertà democratica in cui credeva profondamente e che celebrerà nel Fidelio, accanto all'ideale della fedeltà coniugale. Quando, però, gli giunse la notizia che Napoleone si era fatto proclamare imperatore, Beethoven, in un moto di collera, strappò la dedica gridando: «Anche lui non è altro che un uomo comune! Ora calpesterà anche lui tutti i diritti umani, si porrà più in alto di tutti, diventerà un tiranno!». Nelle prime edizioni del 1806 la Sinfonia porta quindi il titolo di «Sinfonia Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand'uomo» e non più quello di «Bonaparte», come previsto in origine.

Come è noto, l'Eroica determina una svolta fondamentale nella produzione sinfonica di Beethoven. In essa il musicista rompe decisamente i legami con la tradizione haydnmozartiana cui appartenevano ancora le sinfonie precedenti per imprimere al suo discorso una monumentalità di forma e di contenuti che usciva assolutamente dai canoni consueti della composizione sinfonica.
Basta dare uno sguardo alle proporzioni generali della sinfonia, che dura più di quarantacinque minuti, circa il doppio della misura allora consueta, per rendersi conto del salto operato dal genio beethoveniano. A questa dilatazione delle proporzioni esterne corrisponde un'intensificazione dei contenuti: un afflato epico percorre i quattro movimenti e presuppone la destinazione dell'opera a un pubblico ben diverso da quello borghese-aristocratico delle «accademie» per cui Haydn e Mozart avevano scritto i loro capolavori sinfonici. Immutata, invece, rispetto alle consuetudini settecentesche, rimane l'orchestra che prevede solo l'aggiunta di un terzo corno: a quella compagine sinfonica, però, la scrittura di Beethoven conferisce uno spessore e una monumentalità del tutto nuove. Con l'Eroica la sinfonia di Beethoven si trasforma, come è stato detto, da un genere musicale destinato a una cerchia di raffinati intenditori in un discorso alla nazione e all'umanità, messaggio idealmente rivolto a un pubblico universale in un grandioso abbraccio di edificazione ecumenica.
Il «programma», cioè l'idea morale che la informa, è in questo caso la celebrazione dell'eroe inteso, come ha osservato Paul Bekker, non in senso filosofico o religioso, ma nella concretezza della sua azione pratica, tesa alla realizzazione di tutte le sue forze a favore dell'umanità. Beethoven non racconta la storia di un'esistenza, come farà Strauss in Vita d'eroe, ma rappresenta solo alcune possibilità di sviluppo dell'idea centrale: l'eroe è visto alle prese con una lotta vittoriosa nel primo movimento, posto di fronte al mistero della morte nella Marcia funebre e, infine, celebrato come creatore e benefattore dell'umanità nell'Allegro finale, sul tema tratto dal balletto Le creature di Prometeo opera 43, l'eroe greco che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini.
Oltre alla rivoluzionaria novità dell'idea morale che sottende tutta la sinfonia, anche la forma dei singoli movimenti esce dalla tradizione: solo il primo è composto in forma sonata ma la Marcia funebre, lo Scherzo che sostituisce il vecchio minuetto e il tema con variazioni non trovano precedenti di rilievo nella musica del tempo. La «classicità» dell'opera risulta, invece, dalla perfetta fusione tra le caratteristiche formali dei quattro movimenti e l'espressione propria al significato poetico di ciascuno di essi. Al loro interno, il linguaggio musicale di Beethoven compie quel balzo grandioso che condizionerà tutto lo stile sinfonico ottocentesco: l'ampiezza degli sviluppi tematici, l'audacia dell'armonia con largo uso di dissonanze presentate attraverso un senso esplosivo dei contrasti, lo spessore dell'orchestrazione con effetti di massa, pieni di forza schiacciante, e delicati episodi solistici, magari affidati a strumenti come gli ottoni, generalmente utilizzati in brevi interventi di poche note, tutto contribuisce alla trasformazione del genere sinfonico verso quell'ideale di grandiosa vastità spirituale che informerà la successiva storia della sinfonia, sino a Bruckner e Mahler.
Aperto da due accordi a piena orchestra che suonano come poderose mazzate, d'una forza inaudita per l'incipit di una sinfonia postsettecentesca, l'Allegro iniziale rappresenta una vicenda di lotta e vittorioso superamento: il primo tema, presentato immediatamente, si afferma a poco a poco con trionfale energia e straordinaria potenza costruttiva, superando le tentazioni al riposo, alla calma, all'abbandono che, sin dalle prime battute, provengono da alcuni motivi accessori e poi dal secondo tema, che sembra invitare a una dolce rinuncia. Nello sviluppo questo contrasto tra lotta e abbandono, costruzione e riposo perviene a una forza energetica che nessun compositore aveva sinora messo in opera con tanta potenza. Sono bruschi accostamenti dinamici di piano e forte, dissonanze, contrappunti di motivi sovrapposti in una straordinaria densità di pensiero musicale, forze immense che, dal nocciolo di frammenti tematici magari brevissimi, deflagrano in poderosi ampliamenti, apparenti divagazioni che vengono ricondotte, con logica ferrea, al corso del pensiero principale; sono tutti questi elementi che ingigantiscono la forma sonata, sino a trasformarla nella scena di un dramma che vede alla fine l'«idea» affermarsi vittoriosa su ogni forza avversa.
L'effetto conclusivo è quello di una straordinaria liberazione dopo la fatica, compiuto dal primo tema, per scalare quella montagna di ostacoli che gli impedivano la visione sconfinata di libertà raggiunta alla fine del movimento, quando una lunga coda, che funge in pratica da secondo sviluppo, conferisce al pezzo le enormi proporzioni di cui s'è detto.
Il secondo movimento, Marcia funebre, in do minore, rappresenta un altro momento della vicenda «eroica»: una lunga meditazione sulla morte che si apre con la visione intima e solenne di un tema tristissimo, avvolto in sonorità morbide e scure, cui segue un'idea più dolce e consolatoria. La morte non è dramma, strazio, dolore: è piuttosto malinconica accettazione dell'ignoto cui l'eroe va incontro con la fiduciosa coscienza del dovere compiuto. Ma, a un certo punto, ecco la ricompensa: il cielo plumbeo apre, la tonalità passa in maggiore e, su di un moto calmo e riposante di terzine, risuona nell'oboe una melodia paradisiaca, apertamente consolatoria, pulsante di sospiri leggeri, e sfociante alla fine in alcune fanfare trionfali. Dopo di che, la marcia funebre riprende, e lascia spazio a una doppia fuga, dura, aguzza nei profili tematici, quasi implacabile nello stringersi delle sue maglie contrappuntistiche: un'immagine drammatica, dolorosa e conflittuale che nuovamente, però, si stempera nel pacato ritorno del tema iniziale. Ma è solo un momento. Con una frattura improvvisa, l'orchestra grida una fanfara, poi, accompagnata da un seguito di singhiozzi, il tema della marcia funebre conclude l'Adagio con una carica, quasi fisica, di straziante dolore: all'impassibilità del corteo funebre si è ora mescolato lo sbocco del pianto.
Il terzo movimento, Allegro, introduce un forte contrasto, con il fremere del suo primo tema che, dal ticchettio dello «staccato» iniziale, ingigantisce in una sorta di orgiastica danza collettiva. Nessuna traccia esiste più del vecchio minuetto settecentesco: una nuova energia pulsa in ogni particolare del discorso sinfonico e si apre, nel Trio, a una vitalità quasi sportiva. I corni, che lasciano echeggiare nello spazio le loro fanfare, ricordano gli appelli dei cacciatori e anticipano certi passi tipici della musica romantica, soprattutto di Weber. Da questa immersione nella natura si esce con la ripresa della danza che conclude lo Scherzo e ne suggella la compattezza, anticipando, nella sua leggerezza, l'idea dello scherzo romantico che, da Mendelssohn in poi, percorrerà tutto l'Ottocento sinfonico.
L'ultimo movimento si apre con il tema che Beethoven trasse dal balletto Le creature di Prometeo opera 43. Le variazioni sono una fantasmagoria di soluzioni diverse, ora esplicitamente melodiche, ora costruite in fitte maglie contrappuntistiche, ora danzanti con una straordinaria leggerezza, ora capaci di radunare tutta l'orchestra nel girotondo di vigorose danze popolari. A un certo punto il tempo diventa più lento e la musica si apre a una serenità di tipo religioso: finché il passaggio a un «presto» conclude la sinfonia con un avvitarsi di tutta l'orchestra in una di quelle code trionfali che Beethoven impiega sovente nelle sue composizioni sinfoniche per affermare il trionfo della volontà e la conquista del bene contro ogni forza disgregante o negativa.

(©L'Osservatore Romano 3 febbraio 2013)

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