venerdì 8 febbraio 2013

I cinquant'anni del Trattato dell'Eliseo in un convegno promosso dalle ambasciate dei due Paesi presso la Santa Sede (Barnier e Kramp-Karrenbauer)


I cinquant'anni del Trattato dell'Eliseo in un convegno promosso dalle ambasciate dei due Paesi presso la Santa Sede

Che Europa sarebbe senza Francia e Germania?

di Michel Barnier

Questo anniversario non deve svolgersi all'insegna della malinconia o portarci a celebrare con nostalgia un'epoca in cui la riconciliazione franco-tedesca era la principale ragion d'essere della costruzione europea. Questo momento comune di celebrazione deve al contrario spronarci a guardare al futuro, chiedendoci, certo, quale ruolo può oggi svolgere una relazione franco-tedesca che sta divenendo sempre più necessaria ma sempre meno sufficiente in seno all'Europa. Ma anche considerandola con un certo distacco e chiedendoci come si siano potuti tessere legami così stretti tra nemici ereditari. In che modo la storia franco-tedesca degli ultimi sessant'anni può servire da modello per altre riconciliazioni nel mondo?
Tanto per cominciare, che cosa è la riconciliazione? Che cosa vuol dire Gesù quando chiede ai suoi discepoli di andare prima a riconciliarsi con i propri fratelli? (cfr. Matteo, 5, 24). Innanzitutto, riconciliarsi non è dimenticare. «Non c'è diritto di prescrizione nella storia», ci ricorda Julien Gracq. Ma la riconciliazione non può neppure essere la colpevolezza eterna degli uni dinanzi ai rimproveri, anzi al rancore, degli altri. Ciò inserirebbe saldamente la loro relazione in una prospettiva squilibrata. Che si tratti di uomini o di Stati, credo che ogni riconciliazione esiga tre elementi.
Al centro della riconciliazione franco-tedesca si trova un trittico, fatto di uno sguardo comune rivolto alla storia, di gesti simbolici e di un impegno in progetti concreti d'integrazione. Riconciliarsi è prima di tutto accettare di considerare insieme una storia comune. Il sacramento della riconciliazione comincia con un esame di coscienza, in totale umiltà: ognuno riconosce le proprie colpe. I belligeranti di ieri devono far luce sui momenti oscuri della loro storia. Questa tappa è estremamente difficile, per due motivi. In primo luogo, il dolore e il risentimento dei confitti impregnano la memoria: come coesistere con quanti sono stati carnefici? I popoli si ricordano del sangue versato e del destino spezzato di milioni d'individui.
In secondo luogo, le memorie collettive sono molto spesso divergenti e soggette a ogni sorta di utilizzazione e manipolazione. La riconciliazione dei popoli passa dunque prima di tutto per una riconciliazione delle loro versioni della storia. L'esistenza di un manuale di storia comune franco-tedesco dimostra che questo lavoro di riconciliazione storica è possibile, anche se si tratta di un'opera di ampio respiro.
La riconciliazione non può fare a meno di gesti simbolici. Cosa ci mostra Nicolas Poussin quando vuole farci vedere il sacramento della Riconciliazione nella famosa serie dei Sacramenti? Un gesto ampio e maestoso: quello di Cristo che tende le mani per esprimere alla Maddalena il suo perdono sotto lo sguardo stupito degli apostoli. Occorrono gesti di riconciliazione. E nell'ambito politico e diplomatico, è agli uomini di Stato che spetta la pesante responsabilità di prendere l'iniziativa in tal senso. Come non pensare alla stretta di mano tra de Gaulle e Adenauer davanti alla cattedrale di Reims? O ancora al cancelliere Kohl e al presidente Mitterrand che si tengono per mano dinanzi all'ossario di Douaumont, dove riposano 130.000 militi ignoti, giovani tedeschi e francesi? Sappiamo che in altre parti del mondo questi gesti non sempre sono stati compiuti.
Infine, una vera riconciliazione trae la sua forza da impegni comuni in realizzazioni concrete. Si tratta di non accontentarsi dell'attrizione. Occorre fare atto di contrizione. E quale prova migliore di contrizione di quella di lanciarsi insieme, con fiducia, in progetti comuni? La relazione franco-tedesca trae da ciò gran parte della sua forza. Tra i tanti esempi, cito l'Ufficio franco-tedesco della Gioventù, che ha permesso a oltre otto milioni di giovani, francesi e tedeschi, di partecipare a programmi di scambio. O ancora la cooperazione militare, con la creazione di una brigata franco-tedesca comune nel 1988 e poi dell'Eurocorps nel 1992, che possono oggi servire da basi a un'Europa della difesa.
In effetti, uno dei tratti propri della riconciliazione franco-tedesca è di non essere solo bilaterale, ma d'iscriversi in un progetto più vasto: quello dell'integrazione europea. L'intuizione geniale di un Robert Schuman è stata di aver compreso che questi due progetti storici dovevano essere portati avanti insieme, che costituivano le due facce di una stessa medaglia.
Non ci sarebbe l'Europa senza la riconciliazione franco-tedesca. Il celebre passaggio della dichiarazione Schuman lo dice: «L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania».
Il 9 maggio 1950, Robert Schuman inaugurava il metodo comunitario dei “piccoli passi”, avvicinando i due vecchi nemici. Fondava un'economia della riconciliazione, fatta d'interessi comuni, d'iniziative graduali e di legami ogni giorno più stretti, rendendo la cooperazione sempre preferibile allo scontro.
Sessant'anni dopo, noi ne traiamo ancora beneficio: sessant'anni di pace in seno all'Unione, coronati da un Premio Nobel, dalla possibilità unica per gli Europei di viaggiare, di lavorare, di studiare ovunque in Europa, e uno sviluppo economico che, malgrado la crisi che stiamo attraversando, resta considerevole.
Quali lezioni si possono trarre da questa riconciliazione franco-tedesca? Domanda legittima, ma che comporta un rischio. Un rischio che i francesi conoscono bene: quello di dare lezioni al resto del mondo. Credo anche che dobbiamo affrontarlo restando umili ed evitando di erigere la nostra propria esperienza a modello insuperabile o esclusivo. Ci sono voluti tre dolorosi conflitti, due dei quali furono vere e proprie guerre civili europee, per trovare le parole e i progetti capaci di suggellare questa riconciliazione che celebriamo oggi. Ciò deve invitarci a una certa modestia. È solo tenendo a mente il nostro passato che possiamo trarre qualche lezione da questi cinquant'anni di amicizia.
La riconciliazione, come abbiamo detto, è innanzitutto accettare di considerare il passato così com'è ed essere pronti a compiere certi gesti. Come non constatare che questo lavoro della memoria resta a dir poco incompleto tra ex belligeranti del fronte asiatico della seconda guerra mondiale? Alcuni episodi tragici del conflitto continuano a essere delle piaghe aperte, per il mancato riconoscimento delle responsabilità da parte degli uni e degli altri. Non sono stati inoltre compiuti tutti i gesti simbolici necessari per prendere atto del passato e costruire un futuro di pace comune. Credo si tocchi qui uno degli aspetti più importanti della riconciliazione franco-tedesca. Il lavoro della memoria e l'impegno di uomini di Stato ci hanno permesso di superare la maledizione della storia. Quella che voleva che la Francia e la Germania fossero nemici ereditari. Quella che, in un'altra regione del mondo, i Balcani, vuole che certi popoli siano inevitabilmente i nemici di altri. Senza essere sempre così drammatici, è evidente che l'assenza di questa dimensione storica e simbolica rende molto spesso difficili i progressi su progetti concreti comuni, terza componente di una piena riconciliazione.
Dalla mia posizione posso testimoniare tutta la forza di un progetto come quello del mercato comune, sostenuto dalla Francia e dalla Germania. L'Unione trae un immenso beneficio da questo spazio di cinquecento milioni di cittadini e di ventidue milioni d'imprese. Questa esperienza d'integrazione economica, e ora anche monetaria, può essere una fonte d'ispirazione utile per altre regioni del mondo. È questo il senso del dialogo che ho avviato con i nostri partner africani, che si tratti dell'Unione africana o di comunità regionali come la Cedeao. Inoltre, se i nostri vicini del Maghreb accettassero di superare certi rancori storici o rivalità circostanziali, sarebbe possibile un progetto mobilitante che costituirebbe per loro anche un modo per inserirsi nella globalizzazione.
La riconciliazione franco-tedesca non è quindi votata a essere un modello. Può in compenso essere una fonte d'insegnamenti per altri Paesi nel mondo. Ma conserverà questo ruolo a una sola condizione: quella di essere capace di guardare al futuro e di reinventarsi continuamente.
È giunto il momento per la Francia e per la Germania di riflettere insieme sul futuro della loro relazione, vale a dire sul progetto che desiderano per l'Europa. Sebbene occorra sempre vigilare, la vera sfida per la Francia e la Germania non è più quella di affrontare insieme il passato, ma di avviare insieme un dibattito approfondito sul futuro comune, ossia il progetto europeo.
In nessun caso, questo dibattito intende essere esclusivo, non più di quanto le sue conclusioni intendano essere accettate da tutti. Sarà necessario il contributo di ognuno dei 27 Paesi, a iniziare da quello di un altro grande Paese fondatore come l'Italia. Avviare un simile dibattito significa accettare il rischio che non si trovi subito un accordo tra la Franca e la Germania. È normale ed è proprio da ciò che dipende il successo di una riconciliazione. A ogni tappa, i dirigenti hanno dovuto costruire consensi a partire da posizioni talvolta molto lontane. Compresi il generale de Gaulle e Konrad Adenauer o François Mitterrand e Helmut Kohl.
Ancor peggio sarebbe non avviare questo dibattito e lasciare che il progetto europeo si perda nella routine e in impegni approssimativi. L'importante è che ci accordiamo su una visione comune dell'integrazione: dove vogliamo che ci porti il progetto europeo nel 2020 o nel 2030? Come rafforzarlo di fronte a un mondo più instabile e più complesso? Quale unione economica vogliamo costruire ora che la crisi ci ha mostrato tutti i limiti di un'integrazione circoscritta alla disciplina finanziaria? Quale strategia industriale siamo capaci di costruire per non essere domani i subappaltatori della Cina o dell'India? Siamo pronti a creare un vero strumento diplomatico comune e a dotarci di una difesa meno nazionale e più europea? Come vogliamo inserire queste tappe future in una prospettiva politica per essere certi che l'Europa che costruiamo sia proprio quella che vogliono gli europei? Ecco le domande per le quali francesi e tedeschi devono proporre delle risposte nei prossimi mesi.
Lungi dall'essere nostalgica, penso che questa riconciliazione avrà certamente sviluppi positivi in futuro. In un momento in cui occorre una nuova visione dell'Europa, è nostra responsabilità vegliare affinché questa riconciliazione resti indispensabile senza essere esclusiva, avvincente senza essere direttiva, sincera senza essere utopica.

(©L'Osservatore Romano 8 febbraio 2013)

Quella firma che pose fine alla contrapposizione

Un miracolo della ragione

di Annegret Kramp-Karrenbauer

Il 22 gennaio è stato celebrato il cinquantesimo anniversario della firma del cosiddetto Trattato dell'Eliseo, ovvero l'accordo di collaborazione franco-tedesca. L'importanza di questo trattato appare evidente se si richiama alla memoria il contesto storico in cui è nato.
Le rivalità nazionali e i conflitti d'interesse sono molto frequenti nella storia europea. L'ostilità che esisteva tra tedeschi e francesi andava però anche oltre. Nella sua fase più intensa poteva senz'altro essere paragonata ai conflitti esistenti nel mondo attuale, come per esempio quello tra israeliani e palestinesi, tra turchi e curdi, o nei Balcani. Va quindi apprezzato ancora di più lo sforzo di riconciliazione tra tedeschi e francesi dopo la seconda guerra mondiale, che, su quello sfondo, può essere certamente considerato esemplare per altre parti in conflitto nel mondo.
L'avere comunque superato questa ostilità e scelto un futuro di collaborazione e di amicizia è stato merito di grandi uomini come Robert Schuman, Konrad Adenauer e Charles de Gaulle. Lo scrittore Stefan Andres, nato sulla Mosella, ha giustamente parlato di un «miracolo della ragione».
Il Trattato dell'Eliseo costituisce la base della collaborazione istituzionale tra Germania e Francia. Si concentra, in tal senso, su tre ambiti, ovvero gli affari esteri, la difesa, e la formazione e i giovani. Sono stati quindi organizzati incontri regolari a tutti i livelli, per conferire un certo automatismo alla collaborazione tra i due Paesi.
Oggi possiamo affermare che il trattato sulla collaborazione franco-tedesca è servito in modo eccellente al suo scopo e ha portato a una prassi di armonizzazione tra due Paesi a lungo nemici, che oggi può essere considerata quale modello esemplare di rapporti di vicinato riusciti tra stati. I cosiddetti “nemici secolari”, che erano la Francia e la Germania, non sono diventati soltanto interlocutori che si trattano con rispetto. Sono diventati amici.
I punti chiave del trattato furono scelti con saggezza. Infatti, proprio la collaborazione nella formazione, nella cultura e nelle questioni giovanili ha dato un contributo essenziale, se non addirittura centrale, al buon esito della riconciliazione tra i due popoli. Essa è stata garante di questo progetto di pace riuscito. Adenauer e de Gaulle sapevano che bisognava incominciare dai giovani se si voleva assicurare la pace tra i due Paesi e in Europa in modo duraturo.
Lo illustra in modo esemplare anche il cosiddetto libro di storia franco-tedesco. Questo testo, le cui versioni francese e tedesca sono del tutto identiche, viene usato oggi come libro scolastico nelle scuole di due Paesi. Il testo, in tre volumi, offre agli studenti tedeschi e francesi la possibilità di guardare alla storia sia con uno sguardo comune, sia con gli occhi degli altri. Ciò avrà effetti favorevoli su un dialogo più profondo, fondato su un'identità europea comune, ma che allo stesso tempo tiene conto delle differenze esistenti.
Solo risvegliando e promovendo l'entusiasmo dei giovani per l'Europa, ci sarà anche in futuro un'Europa della libertà, della tolleranza, del rispetto e della convivenza pacifica.

(©L'Osservatore Romano 8 febbraio 2013)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Una piccola annotazione,50 anni fa i due statisti erano Adenauer e Schumann,cioè uomini di grandissima levatura,politica e morale ed entrambi cattolici,non so se la cosa dice niente,ora abbiamo Hollande e Merkel,fateci un pò 2 conti e traetene le conclusioni,non aggiungo altro....povera Europa(o quel che ne è rimasto!).GR2

Andrea ha detto...

L' "Europa", cioè la casa comune dei popoli europei dopo 150 anni di massacri suicidari, fu concepita e nacque "carolingia", caro GR2. L'ambiente culturale, sia contemporaneo (anni '50/'60) sia di riferimento antico, era quello del Reno, della Mosella e della Mosa (Strasburgo, Lussemburgo, Aquisgrana).

Poi venne l'esplosione massonica e l'influsso diretto degli USA in fase di scristianizzazione, dopo l'assassinio di Kennedy.. fino all' "impegno" di Chirac perché nella Costituzione Europea non vi fosse traccia delle radici cristiane e fino al dominio della Finanza