lunedì 4 febbraio 2013

Cristiana Dobner commenta il Messaggio del Papa per la Quaresima 2013


MESSAGGIO QUARESIMA

Gioia d'esser secondi

Nell'armonioso rapporto tra fede e carità, tutte le nostre umane salite e discese

Cristiana Dobner

Nasciamo uomo o donna ma dobbiamo diventare persone, crescere per dispiegare quanto ricevuto, comprendere i nostri talenti e afferrare, procedendo nella storia personale, familiare e di tutta l’umanità, quale tonalità debba assumere nel grande mosaico della storia la nostra personale tessera.
Papa Benedetto in questa Quaresima che si sta aprendo, ci offre la chiave preziosa, ci indica quel “come” che tanto travaglia i nostri desideri, cui troppo spesso, per carenza d’illuminazione, di principi saldi, non riusciamo a dare forma: l’armonioso rapporto fra “fede e carità”.
Eppure a questo, soprattutto, è chiamata la persona; se percorriamo il messaggio papale nei suoi quattro passaggi essenziali:
- “La fede come risposta all’amore di Dio”: non costruzione umana, neppure teologica e tanto meno filosofica o etica, ma “personale adesione - che include tutte le nostre facoltà - alla rivelazione dell’amore gratuito e ‘appassionato’ che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo”. Tutta la persona ne viene coinvolta e magnetizzata, diventa ardente nelle due direzioni che plasmano il quotidiano: verso Dio e verso i fratelli. Dinamiche che s’intrecciano e diventano feconde e sfociano nella “coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nell’amore di Dio”. Non è una risposta data una volta per tutte, una sorta di etichetta incollata per qualificare un prodotto, è un’urgenza mobile, sempre vivace e attiva che sollecita alla donazione di sé, unica strada percorribile per la costruzione autentica e vera della persona.
- “La carità come vita nella fede”: l’urgenza è variegata “di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita”. È il varco che, oltrepassato, fa conoscere l’amicizia con Dio. Indubbiamente punto di arrivo ma non traguardo, photofinish, statico, sì trampolino di lancio che qualifica l’esistenza e le fa comprendere che, “quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità”. Il tempo della nostra storia si trasfigura nel tempo in cui, in sinergia lieta e sicura, l’amore di Dio e l’amore della persona si compenetrano, s’illuminano e la trasformazione della struttura umana di peccato si ritrova a essere colmata di grazia, cioè di amicizia, che non tarpa la persona e non la depaupera, ma le spalanca davanti un orizzonte vastissimo in cui “la fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare”.
- “L’indissolubile intreccio tra fede e carità”: il nostro Pastore traccia la mappa della trappola, e fin qui si tratta solo di un rilievo, passando poi al cammino da percorrere nella mappa per non rimanere impantanati: “Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall’attivismo moralista”. Riprendendo l’antico, ma pur sempre attuale simbolo, tipico di ogni antropologia, papa Benedetto a quell’imprinting umano, con un colpo di pollice segna il percorso cristiano: “L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio”. È ben chiaro, allora, che nessuno di noi umani può dirsi “Marta” senza essere “Maria”, se così fosse cadremmo in due estremi l’uno da robot multiuso, l’altro da meccanismo fuori uso per il non uso! In noi vivono e convivono le due dimensioni che “devono coesistere e integrarsi”. Ricordandoci sempre che noi siamo “secondi”, anche se vorremmo sempre e comunque essere “primi”, l’errore di prospettiva può dimostrarsi una tentazione continua, una sfida che logora, da cui bisogna uscire come dal risucchio di una sabbia mobile con un colpo deciso di tallone: “La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede”.
Allora saremo veramente “secondi” perché le nostre opere di carità, pur essendo nostre, le percepiremo non come “frutto principalmente dello sforzo umano”, in cui il nostro ego si troverebbe solo lusingato ma ancora chiuso in se stesso, “ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza”. Egli “primo”, noi “secondi”.
- “Priorità della fede, primato della carità”: abbiamo salito il Monte e lo abbiamo ridisceso, i passi sono i nostri passi, contati sul sentiero ma il cuore dov’è? Dov’è tutta l’adesione della persona? Si concentra in un grido che accogliamo come dono: “Abbà! Padre”, cui rispondiamo, offrendo il nostro (secondo!) dono: “Maranatha!”. “Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo”. Ancora una volta non è architettura pensata e studiata in proprio dalla persona, dalla società, è ben altro: è sigillo del Battesimo, è ardore dell’Eucaristia.

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