giovedì 21 febbraio 2013

Così il Papa ha azzerato la curia (Silini)


Così il Papa ha azzerato la sua Curia

di CARLO SILINI 

Il Papa si è dimesso perché conosce i propri limiti, oppure perché teme quelli della Curia romana che lo circonda? La domanda è più che pertinente visto che le prime parole pronunciate da Joseph Ratzinger dopo l’annuncio del suo ritiro erano non sassolini, ma macigni, tolti dalle scarpe e gettati contro non meglio precisati uomini di Chiesa divisi fra bande nemiche e abitati dal demone del carrierismo. Già durante la cerimonia del mercoledì delle Ceneri Benedetto XVI aveva denunciato le «colpe contro l’unità della Chiesa», le «divisioni nel corpo ecclesiale» e la necessità di superare «individualismi e rivalità». A chi si riferiva? I commentatori italiani non hanno dubbi: alle spaccature interne al Vaticano. Ma è davvero possibile che il Papa si sia tirato indietro per uscire dal pantano delle rivalità curiali? Proviamo a chiarire fino a che punto l’idea di congiure e veleni nella Santa Sede sia sostenibile. Le divisioni interne alla Curia romana sono un fatto, non una leggenda nera. 
Sono, per esempio, evidentissime le reciproche cardinalizie antipatie tra l’ex segretario di Stato, il felpato Angelo Sodano e il suo successore, l’irruente Tarcisio Bertone. Il primo venne rimosso dal suo incarico un anno dopo l’insediamento di Benedetto XVI e sostituito col secondo, che in breve tempo rimpiazzò gli uomini chiave di Sodano con altrettanti suoi protetti. Ma un avvicendamento del personale di Curia è un fatto del tutto normale quando si passa da un pontificato all’altro. È così che funziona il potere. Perché non dobbiamo dimenticare che la Santa Sede, cuore gerarchico del cattolicesimo, è un immenso centro di potere da cui si irradiano decisioni che riguardano 2.966 circoscrizioni ecclesiastiche (Annuario Pontificio del 2012) disseminate in ogni angolo del mondo. Non è bello da vedere, e certamente non rispecchia l’irenismo evangelico, ma è «politicamente» normale che le varie correnti ecclesiali cerchino di avere propri autorevoli rappresentanti in Vaticano per cercare di influire sulle scelte che toccano l’intera Chiesa cattolica. Ciò detto, in questi anni è emerso qualcosa di più inquietante della semplice rivalità fra correnti ecclesiali: VatiLeaks. Si tratta dell’improvvisa fuga di documenti riservati dalla Santa Sede, da cui sono emerse irregolarità nella gestione finanziaria dello Stato Vaticano e nell’applicazione delle normative antiriciclaggio. 
Ma soprattutto è emerso che nell’ambiente nel quale Benedetto XVI vive ci sono alti prelati dediti allo sport del reciproco sgambetto, gole profonde («corvi») in numero imprecisato, utili idioti e scaltri mandanti di chissà quali piani e quali mire poco o punto spirituali. 
Francamente, a parte non meglio precisate accuse attorno allo IOR e tentativi di mettere in cattiva luce questo o quel monsignore agli occhi del Papa, non ci si capisce un granché. Eppure, secondo il settimanale «Panorama», Benedetto XVI avrebbe deciso di dimettersi il 17 dicembre scorso, dopo aver ricevuto l’ultimo rapporto su VatiLeaks consegnatogli dalla Commissione di inchiesta da lui istituita per far chiarezza sul furto di documenti. Spunteranno novità sconvolgenti? Non scomodiamo improbabili rivelazioni alla Dan Brown per spiegare le mosse del Papa. 
È più verosimile che VatiLeaks abbia messo sotto i suoi occhi lo spettacolo di una Curia troppo inaffidabile per pensare di invecchiare sereno in sua compagnia. Perché, come dimostra la fine del pontificato di Giovanni Paolo II, il massimo potere della Curia è quando il Papa si ammala e non è più padrone di sé. Benedetto XVI si è davvero dimesso perché non ha più sufficienti energie, ma ritirandosi ha anche azzerato la Curia mettendo al riparo la Chiesa dalla prospettiva di essere gestita da chi non sembra volerle molto bene.

© Copyright Il Corriere del Ticino, 21 febbraio 2013 

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