lunedì 25 febbraio 2013

Benedetto XVI si prepara a «salire sul monte» e a dedicarsi esclusivamente alla preghiera (Galeazzi)

“Non abbandono la Chiesa”

L’ultimo Angelus del Pontefice davanti a 100 mila fedeli: “Dio mi chiama a salire sul monte per pregare”

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

Nulla sarà più come prima. Benedetto XVI si prepara a «salire sul monte» e a dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Questo «non significa abbandonare la Chiesa» né «isolarsi dal mondo» ma solo continuare a servirla in maniera diversa. Il momento è storico, ma la cifra è «normale». Eppure spiega lo storico della Chiesa, Roberto De Mattei: «La sua rinuncia è in assoluta discontinuità con la tradizione e la prassi della Chiesa». E aggiunge: «Non si può fare un paragone né con Celestino V, che si dimise dopo essere stato strappato a forza dalla sua cella eremitica, né con Gregorio XII, che fu costretto a rinunciare per risolvere il Grande Scisma d’Occidente». Piazza San Pietro è colorata da oltre centomila fedeli malgrado il maltempo. Migliaia di volti emozionati, politici (Alemanno, Riccardi tra gli altri), tanti striscioni «Non sei solo». Benedetto XVI, dalla finestra su piazza San Pietro rispiega i motivi del gesto, ringrazia dell’affetto, e se ne va. Un saluto composto, nel suo stile, anche se la piazza lo acclama e lo interrompe con gli applausi. «Grazie, grazie», ripete più volte con una commozione appena percettibile. Il commento al Vangelo, la preghiera, la benedizione e i saluti nelle varie lingue. Tutto, come ogni domenica, in quindici minuti, mentre sotto la piazza gli faceva sentire la vicinanza. «Grazie, in preghiera siamo sempre vicini», sono le ultime parole che pronuncia il Papa a braccio nel salutare la folla. Racconta di quando Gesù si ritira sul monte Tabor in preghiera con Pietro, Giacomo e Giovanni e si trasfigura. Un «ritiro» che non può non richiamare la scelta del Papa ed è infatti lo stesso Ratzinger a dire: «Questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita». D’ora in poi servirà la Chiesa «in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze». Un riferimento a quella che l’11 febbraio aveva chiamato «ingravescentem aetatem», la sua età avanzata. Una breve ma intensa catechesi sulla importanza, il «primato» della preghiera. Alla quale il Pontefice si dedicherà da venerdì a tempo pieno. Senza la preghiera, «tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo». L’Angelus termina e Benedetto si volta e lascia per l’ultima volta quella finestra da dove si è affacciato ogni domenica per otto anni. Poi anche per i fedeli non in piazza sintetizza il messaggio in un tweet: «Pregate per me e per la Chiesa, confidando come sempre nella Provvidenza di Dio». In un mondo in cui tanti si accapigliano per il potere e quasi nessuno molla una poltrona, un mite e grande intellettuale tedesco lascia, con laicissimo «understatement» e cristiana fortezza, l’incarico di «capo» di oltre un miliardo di persone. Che se ne sia andato perché ha sentito venirgli meno le forze lo ha detto dal primo annuncio pubblico ai cardinali, il 13 febbraio. Ora parla al mondo e alla storia. Commenta le letture del giorno, e per chi ama la Bibbia, l’ultimo Angelus ratzingeriano è tutto da leggere. Tra Trasfigurazione e Tabor, con un pizzico di sant’Agostino: Gesù che avrebbe potuto continuare a cibarsi di Dio, invece torna alla sua missione. Mica come Pietro che non voleva più scendere dal monte Tabor, perché voleva restare al cospetto di Dio. Ma anche il suo predecessore Pietro, rimarca Benedetto XVI, con la preghiera fu ricondotto «al cammino e all’azione». Più o meno, ma questo il Papa non lo dice, come quell’anziano cardinale bavarese che nel 2005 voleva tornare ai suoi studi e finì a fare il Papa. Un discorso umanamente comprensibilissimo, dietro cui spuntano risvolti di grande rilievo per la Chiesa e anche per l’unità dei cristiani. Con le «dimissioni» di Ratzinger è avvenuto qualcosa di rivoluzionario perché, ha osservato il suo collega dei tempi della docenza a Ratisbona, Wolfgang Beinert, viene meno sia a livello di teologia che di dogmatica, il «matrimonio discutibile e quasi mitico tra il ministero e chi lo svolge». La Chiesa cui pensa Ratzinger è una comunità da servire, essere papa non è un fatto protocollare, perché il Concilio ha affermato nella costituzione «Lumen Gentium» che la Chiesa è «segno e strumento dell’intera unione di Dio e della unità del genere umano».

© Copyright La Stampa, 25 febbraio 2013

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