mercoledì 6 febbraio 2013

Amici di Gesù. L'Eucaristia e il sacerdote (Antonio Cañizares Llovera)

L'Eucaristia e il sacerdote

Amici di Gesù


«L'Eucaristia e il sacerdote» è il tema dell'intervento che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha tenuto nei giorni scorsi a Salerno in occasione della presentazione di alcuni volumi del sacerdote teologo Mauro Gagliardi. Ne pubblichiamo ampi stralci.


di Antonio Cañizares Llovera


Gesù Cristo, nel donare se stesso nell'Eucaristia, attraverso lo Spirito Santo, in offerta piena al Padre per noi, ci dà la stessa vita divina che Lui riceve eternamente dal Padre. Si tratta di un dono assolutamente gratuito che la Chiesa in fedele obbedienza accoglie, celebra, adora, e con il quale entra in comunione e vive. La Chiesa vive di questo dono, che la costituisce sacramento di comunione. A essa corrisponde il rispondere al dono -- Mistero pasquale di Cristo -- e attualizzarlo sacramentalmente, finché Egli ritorni, nella celebrazione liturgica, curata squisitamente conforme alle norme e ai criteri della Chiesa come corrisponde al diritto di Dio, alla Tradizione della Chiesa, alla fede che professiamo - lex orandi, lex credendi. Gesù, presente nella Chiesa, le ha dato il compito di partecipare alla “Sua ora”, di entrare in comunione con Lui nel suo atto sacrificale, quello del Mistero pasquale (cfr. Sacramentum Caritatis, 11). Con l'affermazione dell'incorporazione dei fedeli all'“ora” di Gesù, al suo Mistero pasquale, per il sacramento eucaristico, si segnala il vero significato del “memoriale” -- «In memoria di me» -- applicato al Mistero eucaristico. La partecipazione al pane e al calice suppone l'effettiva partecipazione al sacrificio di Cristo al Padre, nella Sua obbedienza, nella Sua unione e oblazione di amore totale, nella sua piena consacrazione in obbedienza, nell'affermazione incondizionata di Dio Padre e il suo amore; perciò si proclama in maniera oggettiva e reale la morte del Signore, il Mistero pasquale di Cristo. Il memoriale non è più inteso semplicemente come il ricordo di azioni passate di Dio, che ci permette di continuare a riconoscere nell'attualità la sua presenza e la sua azione, ma la partecipazione contemporanea, comunione, in quello che è successo una volta e per sempre (essere incorporati nell'“ora di Gesù”, unificati con Lui stesso). «In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa “contemporaneità” tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli» (Ecclesia de Eucaristia, 5), una comunione misteriosa tra Gesù stesso e la Chiesa, il suo corpo ecclesiale; una comunione con le sue membra. Questa stessa contemporaneità è resa possibile dal mistero dell'Incarnazione, nel quale l'eterno è entrato nella storia, e anche per la Pasqua, tramite la quale colui che ha vissuto nel tempo è entrato nell'eternità, facendo del tempo una «dimensione di Dio» (cfr. Tertio millennio adveniente, 10).

Gli apostoli, accogliendo l'invito di Gesù nel Cenacolo, sono entrati per la prima volta in comunione sacramentale con Lui, con il mistero della sua Pasqua. Da ora e fino alla fine dei tempi, la Chiesa si edifica mediante la comunione sacramentale col Figlio di Dio, consegnato per noi; si costruisce con le pietre di chi partecipa, si nutre ed entra in comunione con il Mistero pasquale di Cristo, che si dà a noi e si raggiunge nel Mistero eucaristico. Con l'unione a Cristo, il popolo della nuova alleanza diventa “sacramento” per l'umanità, vale a dire, si converte in segno e strumento efficace di salvezza e di vita proprio a causa di questa partecipazione e comunione con Lui, col suo Mistero pasquale. Così, l'Eucaristia, edificando la Chiesa, crea, proprio per questo motivo, comunione con Dio e comunità tra gli uomini -- «sacramento dell'intima unione con Dio e di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1) -- frutto del Mistero pasquale: realtà che si compie anche mediante il culto di adorazione che si rende all'Eucaristia fuori della messa.
L'Eucaristia è un tesoro inestimabile, che è inseparabile dal vivere la vita cristiana in comunione con il Mistero pasquale di Cristo. Non solo la sua celebrazione, ma anche il sostare davanti a essa, in adorazione, fuori della messa, ci dà la possibilità di attingere alla sorgente stessa della grazia, l'amore originale che dà la vita scaturendo dal costato aperto dell'Agnello immacolato: non ci sarà, pertanto, un altro modo di celebrare e partecipare all'Eucaristia che non sia in adorazione, in comunione con Cristo che si offre e unisce al Padre in una reciprocità senza misura. Questo è l'adorazione. Una comunità cristiana che voglia essere più in grado di contemplare il volto di Cristo deve sviluppare anche quest'aspetto del culto eucaristico, cioè l'adorazione, nel quale si prolungano e si moltiplicano i frutti della comunione al Corpo e al Sangue del Signore, al suo Mistero pasquale (cfr. Ecclesia de Eucaristia, 25).
All'Eucaristia è legato il sacramento dell'Ordine sacerdotale. L'unzione dello Spirito Santo, il giorno della nostra ordinazione, ci ha associato sacramentalmente allo stesso Gesù Cristo, unto unico sacerdote, sommo e definitivo, della nuova ed eterna alleanza nel sangue dell'Agnello, che è presente nell'Eucaristia. Così, «il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento, possiamo parlare con il suo “io” in persona Christi. Gesù Cristo vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente dovrebbe infatti stupirci in ogni celebrazione del Sacramento» (Benedetto XVI, Omelia nella messa del Crisma, 2006). Affinché la routine quotidiana non guasti ciò che è così grande e misterioso, abbiamo bisogno di tornare al momento in cui Lui ci impose le sue mani, e ci ha resi partecipi di questo mistero. Abbiamo bisogno di tornare a quel momento in cui istituì il sacerdozio al tempo stesso che l'Eucaristia -- «Fate questo in memoria di me» -- e a quell'altro momento quando ci hanno imposto le mani e le nostre mani sono state unte. Con questi gesti lo stesso Gesù Cristo ha preso possesso di noi, e lo Spirito Santo, anche con tutta la nostra carica di fragilità e di miseria, «ci ha fatto segni che, come docili strumenti nelle Sue mani, si riferiscono a Cristo» (Sacramentum caritatis): sacramento della presenza sacerdotale unica e definitiva di Cristo.
Il Signore ha preso, in primo luogo, le nostre mani e ha messo su di esse il Suo proprio Corpo consegnato per gli uomini, come la vita del mondo, l'amore degli amori, per portarlo in questo mondo e riempirlo con il suo amore travolgente per tutti. Nella santa Eucaristia dona se stesso attraverso le nostre mani, si dona a noi. Il servizio grande e supremo che Gesù dà a tutti, come buon pastore che dà la vita per le sue pecore, è nella croce: consegna se stesso e non solo nel passato. Il mistero del dono che i sacerdoti hanno ricevuto attraverso l'imposizione delle mani e l'unzione è inseparabile dall'Eucaristia, al celebrarla non possiamo in ogni momento fare a meno di ricordare quelle parole consolatrici e di incoraggiamento di Gesù dopo aver istituito l'Eucaristia e il sacerdozio: «Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi chiamo amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Giovanni, 15, 15).
Il Signore mette nelle nostre mani, trasmette a ciascuno di noi, sacerdoti, il suo mistero più profondo e personale: vuole condividere il suo potere di salvezza. Facciamo presente tra gli uomini e per gli uomini quello che commemoriamo, cioè il mistero redentore, la salvezza, l'amore e la riconciliazione della croce per tutti gli uomini. Ma questo, ovviamente, richiede che noi, da parte nostra, corrispondiamo alla sua amicizia. Sì, noi siamo veri amici del Signore, siamo uniti a Lui, lo ascoltiamo, parliamo con Lui, per conoscerlo meglio ogni giorno nel rapporto di amicizia della preghiera. Lo cerchiamo e lo incontriamo dove si trova: nel tabernacolo, dove Lui è realmente presente, e nei poveri e nei sofferenti, con cui Egli si identifica; richiede che noi, da parte nostra, come esorta Paolo, abbiamo gli stessi sentimenti di Gesù, il quale avendo la forma di Dio spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, si chinò e obbedì al Padre fino alla morte di croce (cfr. Filippesi, 2). Essere veri amici di Gesù richiede, quindi, che i nostri sentimenti si conformino con i suoi sentimenti, che la nostra volontà si conformi alla sua, tutta indirizzata alla volontà del Padre: è il modo del tutto unico nel suo genere, per essere davvero uomini. Questo è e deve essere il nostro cammino di ogni giorno: conformarci a Lui, avere i suoi stessi sentimenti, intensificare l'amicizia con Lui. Avere gli stessi sentimenti di Gesù ed essere amici suoi sono due realtà che si richiamano e si esigono vicendevolmente. Vivere in comunione di pensiero, di sentimento, di volontà e di azione è vivere in amicizia con Gesù; perciò, non lo dimentichiamo, dobbiamo conoscere Gesù in una maniera più personale, ascoltandolo, vivendo con lui, stando con Lui.

(©L'Osservatore Romano 6 febbraio 2013)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

qui l'integrale

http://www.diocesisalerno.it/salerno/allegati/1854/Presentazione%20di%20tre%20libri%20del%20Sacerdote%20Mauro%20Gagliardi.pdf

Raffaella ha detto...

Grazie :-)
R.