mercoledì 30 gennaio 2013

Troppi sofismi. L'Académie des sciences morales e la sociologa Nathalie Heinich sul «mariage pour tous» (Guidi)

L'Académie des sciences morales e la sociologa Nathalie Heinich sul «mariage pour tous»

Troppi sofismi


Non esiste il diritto ad avere un bambino, ma ci sono dei diritti del bambino sui quali il legislatore ha il dovere di vigilare; è questa in sintesi la posizione dell'Académie des sciences morales francese, che si è pronunciata sul progetto di legge noto in tutto il mondo con lo slogan mariage pour tous. È necessario, hanno ribadito gli accademici, aprire un dibattito «sereno e approfondito» su un tema così importante; non si è ancora riflettuto abbastanza sulle ripercussioni giuridiche, antropologiche e psicologiche di una riforma che implica la sparizione dal codice civile di ogni riferimento al sesso dei coniugi.

Troppi sofismi hanno oscurato sotto un generico sentimentalismo i nodi concettuali di una questione delicata, scrive su «Le Monde» del 27-28 gennaio Nathalie Heinich, una sociologa dell'arte che «eccelle nella fuga solitaria», indifferente «ai codici della tribù globale», come l'ha definita qualche tempo fa il giornale per cui scrive, una figura nota nell'attuale scena culturale francese ma difficilmente collocabile. Per la sua vasta produzione saggistica e gli altrettanto vasti interessi potremmo definirla un'esperta in angolazioni insolite da cui vedere il mondo, acuta nell'analisi delle convenzioni della mentalità contemporanea -- invisibili ai più perché capillarmente diffuse -- e abile nello smascherare tic e frasi fatte vuote di significato.
Bisogna stare attenti a come si usano le parole, ribadisce Nathalie Heinich nell'articolo Mariage gay: halte aux sophismes (dal significativo occhiello Dans le débat sur le projet de loi en faveur de l'union pour tous, l'enjeu essentiel de la filiation est occulté), altrimenti rischiamo di trasformare automaticamente, senza esserne pienamente consapevoli, un desiderio in diritto, accettando acriticamente tutto quello che viene sottoposto alla nostra attenzione da un battage pubblicitario adeguatamente intenso e continuativo, in una sorta di dittatura dei desideri globale.
Il significato letterale di quello che si dice non deve mai essere perso di vista, soprattutto quando le nostre parole vengono compresse nel breve respiro di uno slogan. «Che significa matrimonio per tutti?» si chiede la sociologa; il “per tutti” non potrà mai avere un significato letterale, visto che, per fare un esempio paradossale, le nozze sono (e devono restare) vietate ai bambini.
«Quello che fa la differenza e costituisce la base dell'istituzione sociale del matrimonio è la possibilità di generare figli» ricorda la Heinich, ponendo l'accento sulla questione centrale, data per scontata quando non relegata ai margini del dibattito in corso. Individuando nell'amore tra due persone e non nella generazione dei figli il fattore che legittima il vincolo matrimoniale, spiega l'autrice dell'articolo, si permette l'ingerenza dello Stato in questioni che non lo riguardano, come le relazioni affettive e i rapporti sessuali tra persone adulte e consenzienti. Un'ingerenza indebita che, giustamente, proprio le associazioni di difesa dei diritti degli omosessuali hanno a lungo denunciato e combattuto quando l'omosessualità veniva condannata per legge. Il diritto al figlio non esiste, ribadisce Nathalie Heinich, se non equiparando il bambino a un bene di cui ci si può appropriare. La questione che dev'essere posta non riguarda tanto i diritti degli adulti, quanto i doveri verso i bambini: quale sarà il loro stato civile? Avranno accesso all'identità dei loro genitori?
In un recente articolo -- uscito su «Le Figaro» di sabato scorso -- Rémi Brague si è soffermato ad analizzare l'ottimismo programmatico di chi saluta ogni novità giuridica come un avanzamento della civiltà, senza interrogarsi sulle conseguenze a breve e lungo termine delle nuove norme introdotte. In Mariage homosexuel: quelle avancée? il filosofo francese individua nel contemporaneo “dogma del progresso” un relitto culturale malinteso e distorto della Provvidenza cristiana, svuotata dal suo profondo significato religioso, ridotta a una generica categoria condivisa e trasformata in un “paracadute metafisico” buono per tutte le stagioni. (silvia guidi)

(©L'Osservatore Romano 30 gennaio 2013)

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