giovedì 3 gennaio 2013

La pietra miliare della libertà religiosa. Riflessione di Mons. Charles J. Chaput


Dalla storia americana un patrimonio per tutti

La pietra miliare della libertà religiosa

Charles J. Chaput

«Di fronte al ripetersi in tutto il mondo di atti di persecuzione, la storia della fondazione degli Stati Uniti e la loro esperienza nell’ambito della promozione della libertà religiosa si propone come un patrimonio per tutti». Così, nel prossimo numero della rivista «Oasis» (da questa sera on line in italiano e inglese sul sito www.fondazioneoasis.org), viene presentato un contributo dell’arcivescovo di Philadelphia sul tema della libertà religiosa di cui anticipiamo quasi per intero la conclusione.

Il desiderio di libertà e dignità dell’uomo risiede in ogni essere umano. Queste aspirazioni non sono culturalmente condizionate o il risultato dell’imposizione di ideali americani o occidentali. Fanno parte di ognuno di noi.
Il sistema mondiale del diritto internazionale moderno si basa su questo assunto di valori universali condivisi da persone di tutte le culture, etnie e religioni. Il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria già a partire dal XVI secolo aveva immaginato qualcosa di simile alle Nazioni Unite. Una legalità internazionale è possibile — spiegava — perché esiste un “diritto naturale” inscritto nel cuore di ogni persona, un insieme di valori che sono universali, oggettivi e non cambiano. La tradizione del diritto naturale presume  che uomini e donne siano religiosi per natura. Presume che siamo nati con un desiderio innato per la trascendenza e la verità.
Questi assunti sono al centro della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Molti tra coloro che hanno lavorato a quella dichiarazione, come Jacques Maritain, credevano che questa carta della libertà internazionale riflettesse l’esperienza americana. Il famoso articolo 18 della Dichiarazione recita che «ciascun individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto include la libertà di cambiare religione o credenza, e la libertà, a livello individuale o in gruppo, in pubblico e in privato, di manifestare la propria religione o credenza nell’insegnamento, nella pratica, nel culto e nell’osservanza».
In un certo senso, quindi, il modello americano è già stato applicato. Quello a cui assistiamo oggi è un ripudio di quel modello da parte di regimi atei e di ideologie laiche ma purtroppo anche dalle versioni militanti di alcune tradizioni religiose. La situazione globale è aggravata dall’inazione della leadership nazionale americana che non promuove nel mondo una delle più grandi qualità dell’America: la libertà religiosa.
È un peccato perché abbiamo un urgente bisogno di un onesto dibattito interreligioso sugli elementi essenziali dello Stato democratico moderno. Come cristiano, sarei favorevole a una teologia islamica pubblica che sia fedele alle tradizioni musulmane e sinceramente aperta alle norme liberali. Una sana distinzione tra il sacro e il profano, tra legge religiosa e legge civile, è l’elemento fondante delle società libere. I cristiani e soprattutto i cattolici hanno imparato a proprie spese che il matrimonio tra la Chiesa e lo Stato funziona raramente. Da un lato la religione solitamente ne esce perdente, ornamento o cappellano di Cesare. Dall’altro lato tutte le teocrazie sono utopiche e ogni utopia finisce per perseguitare o uccidere i dissidenti che non possono o non vogliono aderire alle sue pretese di beatitudine universale.
C’è una ragione per cui ho iniziato questo saggio con John Bunyan. Fino ad oggi la sua opera più importante — Il progresso del pellegrino — è il secondo libro più letto nel mondo occidentale, preceduto solo dalla Bibbia. Ma lo stesso spirito puritano che ha creato tanta bellezza e genio in Bunyan ha condotto anche all’autoritarismo di Oliver Cromwell, ai processi alle streghe di Salem e alla repressione teocratica di altri protestanti e, naturalmente, cattolici.
Gli americani hanno imparato dal loro passato. Il genio dei documenti fondatori americani risiede nell’equilibrio che essi hanno raggiunto nella creazione di una vita civile non settaria e aperta a tutti, la cui sopravvivenza dipende però dal rispetto reciproco dell’autorità laica e di quella religiosa. È questo uno dei contributi storici dell’America allo sviluppo morale delle persone in tutto il mondo. La libertà religiosa — il diritto di una persona di lodare, pregare, insegnare e praticare ciò in cui crede liberamente, compreso il diritto di cambiare o abbandonare il proprio credo liberamente — è una pietra miliare della dignità umana. Nessuno, che agisca in nome di Dio o in nome di qualche programma politico o ideologia, ha l’autorità per interferire in quel diritto umano fondamentale.
Questa è la promessa del modello americano. I Padri fondatori americani, pur essendo per la maggior parte cristiani, non cercavano alcun privilegio per sé. Non avrebbero costretto altri a credere a ciò in cui loro stessi credevano. Gli eretici non sarebbero stati puniti. Essi sapevano che la libertà di credere deve includere la libertà di poter cambiare le proprie credenze o di smettere di credere. I Fondatori dell’America non mancavano di convinzione. Al contrario essi avevano una grande fiducia nella propria ragione — ma anche nella sovranità di Dio e nella cura di Dio per il destino di ogni anima.
Gli Stati Uniti sono nati, nelle parole di James Madison, per essere «un rifugio per i perseguitati e gli oppressi di ogni nazione e religione». In questo momento, in America, diamo l’impressione di non rivendicare questa eredità, condividerla o comprenderla veramente. Penso che un giorno potremmo svegliarci e vedere tutto ciò come una tragedia per noi e per molti altri.
  
(©L'Osservatore Romano 4 gennaio 2013)

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