mercoledì 12 dicembre 2012

Senza ambiguità e ingenuità. I ''segni dei tempi'' a 50 anni dalla ''Dignitatis Humanae'' (Sir)


Senza ambiguità e ingenuità

I ''segni dei tempi'' a 50 anni dalla ''Dignitatis Humanae''

“La sfida della libertà religiosa”. È il titolo della tavola rotonda che si è tenuta questa sera a Villa Cagnola di Gazzada (Va), in occasione del 1700° anniversario dell’Editto di Costantino e all’indomani del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Un’iniziativa dell’Istituto superiore di studi religiosi e della Fondazione Ambrosiana Paolo VI. Sono intervenuti Cesare Alzati, docente di cultura e istituzioni del mondo europeo all’Università Cattolica del Sacro Cuore, il giornalista Luigi Geninazzi e don Stefano Cucchetti, docente di etica sociale al Seminario diocesano e all’Istituto superiore di scienze religiose di Milano. Quest’ultimo ha parlato della “libertà religiosa nella coscienza della Chiesa dal Vaticano II ad oggi”. Paolo Rappellino, per il Sir, lo ha intervistato.

Don Cucchetti, la dichiarazione “Dignitatis Humanae” del Vaticano II è il punto di riferimento anche oggi per parlare di libertà religiosa. Perché?

“‘Dignitatis Humanae’ è un punto cruciale nella vicenda conciliare. È sicuramente il documento che ha avuto la discussione più complessa nell’aula del Vaticano II: questo segnala il valore del tema della dignità umana e della libertà religiosa e qui si gioca molto dell’interpretazione del Concilio. La discussione cercò di trovare un punto di mediazione tra le varie parti ed è stato un punto di non ritorno, cioè la lettura in continuità di tutta la tradizione precedente ma per farne emergere un criterio nuovo. È il criterio dei ‘segni dei tempi’: rendersi, cioè, conto che il mondo aveva qualcosa da insegnare alla Chiesa. Il mondo moderno aveva proclamato la libertà religiosa a partire da principi come la laicità dello Stato dei diritti umani. Magari principi scomposti, teoreticamente non sempre ben fondati, che non potevano però non impattare sulla Chiesa”. 

Quali sono, dunque, i capisaldi del Concilio sulla libertà religiosa?

“Il primo capitolo di ‘Dignitatis Humanae’ afferma che le comunità religiose e lo Stato sono autonomi, indipendenti nel loro ordine. Questo perché l’affermazione di fede si lega direttamente alla dignità della persona. La fede è un atto proprio della persona e, quindi, si carica di tutta la dignità della persona stessa (lo indica anche il titolo del documento) e questo si applica a tutti i soggetti. Tutti i contesti sociali e politici devono rispettare questo spazio di libertà. È chiaro: siamo di fronte a un’affermazione grande, ma per altri versi anche minimale. Crea uno spazio vuoto, non dice quale debba essere il modo per custodire questa dignità”.

Dal Concilio ad oggi sono, però, proseguiti il dibattito, la ricerca teologica e la prassi…

“Soprattutto la prassi. Lo sviluppo principale è stato consegnato al diritto ecclesiastico, cioè alla gestione concreta dei rapporti tra le Confessioni religiose. Manca lo sviluppo della riflessione sulla forma di questa libertà: l’atto di fede che tipo di relazioni costruisce? Questa riflessione oggi è quanto mai urgente nel contesto pluralista che stiamo vivendo: il confronto con nuovi modelli di rapporto tra lo Stato e la fede (penso alle tradizioni islamiche e orientali) c’interrogano sulla forma della fede e sui rapporti tra fedeli”.

Oggi le sfide sono quelle della Cina con la sua Chiesa controllata dallo Stato, dell’Islam e dell’Europa che si laicizza?

“Sì, sono questi i contesti caldi. È evidente che sono modelli culturali differenti del rapporto tra fede e autorità pubblica. Ma non necessariamente vanno interpretati come nemici e ostili. Chiedono una messa in discussione anche del nostro modello: in questa linea è interessante il discorso tenuto dal cardinale Scola il 6 dicembre scorso, alla vigilia di sant’Ambrogio. Insomma, anche oggi ci dobbiamo domandare se c’è un ‘segno dei tempi’ che ci arriva da quei modelli. In conclusione, anche all’incontro di Gazzada ho detto che la vera forma della libertà religiosa è la forma della fraternità, all’interno di uno spazio pubblico. Compito di chi è credente oggi, quindi, è costruire legami fraterni nello spazio pubblico, dall’altro lato lo Stato deve garantire questa possibilità. Qui credo ci sia il nodo originale, il passaggio in più che mancava al Concilio”.

Quali sono invece i rischi, i passi falsi, da cui oggi la Chiesa deve guardarsi?

“Uno rimane quello già presente nelle discussioni conciliari: intendere la libertà religiosa con una certa ambiguità, come la libertà della Chiesa cattolica. Custodire insomma la nostra libertà. Invece, c’è da difendere una forma di rapporti, la forma della fede. L’altro grande rischio, però, è l’ingenuità: pensare che un modello che ha funzionato vada ancora bene. Come se certe categorie fossero assodate e fosse bene non rimetterle in discussione con finalità di non belligeranza. Avere il coraggio di lasciarsi mettere in discussione dall’incontro con l’altro, invece, può consentire all’Occidente un po’ sopito di fare un passo in più”.

© Copyright Sir

1 commento:

Anonimo ha detto...

Più ambiguo di così...

La libertà religiosa è in rapporto alla verità, altrimenti non ha letteralmente senso. E questo risalta in modo chiarissimo da DH, il cui testo non va letto affatto come un testo "di compromesso", ma come atto di Magistero solenne, coerente e concluso, quindi da recepire fedelmente, non da manipolare sulla base di ciò che di volta in volta "il mondo ci insegna".

La Libertas Ecclesiae è il cuore della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, al contrario di quel che pensa il prete intervistato. Ed è la garanzia massima, ineludibile ed essenziale della dignità di ogni persona, proprio perché l'atto di Fede è personale e soprannaturale, perciò libero per sua natura, ma non si dà se non per mezzo della Chiesa.

Pazienza, ci vorrà ancora del tempo prima che i fumi dell'ideologia si diradino del tutto.

gianni