martedì 11 dicembre 2012

Le improbabili previsioni attribuite ai maya e le ipotesi scientifiche. Spesso citiamo i passi apocalittici della Bibbia ignorando il loro messaggio di speranza (Benvenuti)


Le improbabili previsioni attribuite ai maya e le ipotesi scientifiche

Dies irae

Spesso citiamo i passi apocalittici della Bibbia ignorando il loro messaggio di speranza

Piero Benvenuti

Molto opportunamente Benedetto XVI, all’Angelus di domenica 18 novembre, ci ha offerto una profonda interpretazione teologica della pagina evangelica del giorno, una delle più difficili — sono parole sue — del Nuovo Testamento. Troppo spesso infatti ci siamo fermati alla descrizione apocalittica della “fine del mondo” che Marco, unitamente agli altri sinottici, riporta al capitolo 13 usando versetti biblici di Isaia ed Ezechiele, come d’altronde avrà fatto Gesù stesso parlando ai suoi. L’angoscia indotta da quel solvet saeclum in favilla ci ha impedito di cogliere il senso globale dell’intero passo, che il Papa ha fatto riemergere: la Terra può sconvolgersi fino alla sua distruzione, il cielo stellato «riavvolgersi come un rotolo di papiro» (Isaia, 34, 4), ma la «mia parola», la Buona Novella, rimarrà salda, insensibile agli insulti del krònos cosmico.
Così il terrore si trasforma in speranza, la conversione alla quale Gesù invitava i primi discepoli ci permette di affrontare con serenità qualsiasi mutamento del mondo in cui viviamo, sia quelli riconducibili a violenze prodotte dall’uomo sia quelli dovuti a cataclismi naturali e imprevedibili.
Il breve, ma denso discorso del Papa ha però un’ulteriore valenza, più laica: ci ricorda che Gesù non è un veggente e le sue affermazioni hanno il solo scopo di annunciare e consolidare la Buona Novella. Non possono quindi essere paragonate ai verdetti di una Sibilla e soprattutto non hanno nulla da spartire con le opinabili previsioni catastrofiche che, regolarmente riesumate da media privi di scrupoli, ci stanno affliggendo in questo volgere del 2012. Senza voler fare concorrenza alle discutibili previsioni catastrofistiche di fine anno, anzi per contrastarle con seri argomenti scientifici, vale la pena di analizzare le cause che potrebbero porre fine alla presenza della vita intelligente sulla Terra. La causa più certa, ma anche la più remota temporalmente, è l’evoluzione del nostro Sole: stella di piccola massa, formatasi circa cinque miliardi di anni fa, continuerà a riscaldare la Terra con energia costante per altri tre  miliardi e mezzo di anni. Poi, quando il combustibile nucleare, l’idrogeno, comincerà a esaurirsi nelle zone centrali, il Sole inizierà una lenta evoluzione verso lo stadio di stella gigante rossa,  caratterizzata da un diametro 250 volte maggiore di quello attuale.  A quel punto, le orbite dei pianeti più interni, Mercurio, Venere e forse la Terra, saranno inghiottite dal Sole. Ben prima di questo evento però, il graduale aumento della temperatura del Sole avrà già trasformato il nostro pianeta in un deserto inabitabile.
  Una minaccia che potrebbe invece presentarsi in tempi più prossimi è il possibile impatto di un asteroide o di una cometa con la Terra. Nel passato questi eventi erano molto frequenti nel sistema solare, come testimoniano i numerosi crateri visibili sulla superficie di tutti i pianeti rocciosi e dei loro satelliti. Vestigia di antichi impatti, circa 180, sono state identificate sulla Terra, anche se in molti casi l’azione degli agenti atmosferici li ha parzialmente dissimulati. Mentre si perfeziona la rete di sorveglianza, si studiano anche i possibili metodi per deviare l’orbita di un potenziale proiettile cosmico. Non esiste ancora una soluzione ottimale, ma l’esperienza tecnologica che si sta accumulando con le missioni spaziali di esplorazione del sistema solare e con lo studio per la rimozione dei detriti spaziali — pezzi di vecchi satelliti che orbitano intorno la Terra incontrollati — dovrebbe essere presto in grado di evitare un impatto catastrofico, soprattutto se saremo in grado di prevedere l’evento con alcuni decenni di anticipo.
Oggi sappiamo con certezza scientifica che la presenza umana nel cosmo non durerà per sempre: l’ineluttabilità della morte individuale è ora trasferita anche al “fenomeno umano”, che è destinato kronologicamente a concludersi. D’altronde se il cosmo, nella sua evoluzione, per miliardi di anni non ha avuto in sé la coscienza, non dovrebbe sorprenderci che in un lontano e sterminato futuro esso ridiventi cieco e muto, senza più occhi che si stupiscano e bocche che ne cantino le meraviglie.
Risuona allora imperioso un altro passo del Vangelo (Marco, 1, 15) «il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino»: oggi, evento unico e irripetibile, il “tempo opportuno” si è innestato nel “tempo cosmico” e ci è offerta l’opportunità di renderci immuni da ogni sconvolgimento, da ogni asteroide killer o dal Sole fagocitante, afferrandoci alla sola Parola che salva e che non “passa”. Allora, quando l’umanità sarà incamminata verso la sua inesorabile fine materiale, potrà vedere con gli occhi della fede «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria».
  
(©L'Osservatore Romano 12 dicembre 2012)

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