sabato 1 dicembre 2012

Il cattolicesimo alla radice dell'identità inglese (Mark Langham e Justin Bedford)

Una fede che ha conosciuto l'esclusione e il martirio oggi divenuta elemento di unione

Il cattolicesimo alla radice dell'identità inglese


di Mark Langham* e Justin Bedford**


Nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, non distante dalla basilica di San Pietro, è conservata un'immagine della Madonna di Ina, dono di un re d'Inghilterra dell'ottavo secolo, il quale fondò un ostello sassone, antenato dell'ospizio inglese a Roma, che quest'anno celebra il suo 650° anniversario. L'immagine è un'antica testimonianza di una tradizione cattolica inglese, che poi nel medioevo sarebbe sbocciata nell'arte, nella letteratura e nella musica, caratterizzando il panorama intellettuale e geografico dell'Inghilterra con cattedrali, università e abbazie, e collegandolo saldamente alle tradizioni della Chiesa d'occidente. Un'altra immagine a Roma, nella chiesa di San Tommaso di Canterbury in via di Monserrato, mostra studenti sacerdoti che vengono torturati e giustiziati per la loro fede cattolica. Non viene risparmiato nessun dettaglio, ma se dovesse sorgere qualche dubbio, nell'immagine sono annotati nomi, date e metodi di esecuzione. È questo l'altro aspetto della tradizione cattolica inglese: esclusione, persecuzione e, infine, martirio.

È in questi due mondi che si è formato il cattolicesimo inglese: radicato profondamente nella devozione cattolica e nel senso di unità con l'antica fede del Paese, e sentendosi allo stesso tempo al margine, non accettato, non veramente inglese. Nello scomodo scenario tra queste due realtà, il cattolicesimo inglese ha faticato a trovare la propria identità. Il trauma che i cattolici inglesi devono affrontare è il modo in cui una nazione, talmente impregnata della fede cattolica da essere conosciuta, nel medioevo, come “dote di Maria”, nello spazio di una generazione si sia rivoltata contro la Chiesa antica, abbattendone le immagini, mettendone al bando la liturgia e negando il suo essere inglese. La versione originale dell'inno nazionale chiedeva la liberazione dalle “manovre papaline”, e fino al 2011 un cattolico non poteva sposarsi con il monarca (mentre lui o lei continua a non poter essere cattolico). In passato era stato tutto molto diverso: il primo arcivescovo di Canterbury, Agostino, portava con sé da Roma la benedizione del santo Papa Gregorio, mentre nel 664 il sinodo di Whitby legava la Chiesa inglese definitivamente a Roma. Il Venerabile Beda considerava la fedeltà a Roma parametro di ortodossia, mentre san Benedetto Biscop importò le pratiche monastiche romane e il canto gregoriano; i santi inglesi portavano la fede di Roma in Europa, e i pellegrini giungevano in massa nella città eterna. Settecentocinquanta pellegrini inglesi si recarono a Roma per l'anno santo 1500, e il re d'Inghilterra dichiarò l'ospizio romano noster hospitalis. Gli studiosi inglesi della cerchia di Tommaso Moro studiarono in Italia: John Colet, Thomas Linacre, William War-ham. Ci furono vescovi italiani a Salisbury e a Worcester. Artisti italiani furono accolti dalle corti inglesi: furono artigiani italiani a posare il più grande pavimento in stile cosmatesco a nord delle Alpi, nell'abbazia di Westminster, nel 1268; il cardinale Wolsey decorò il proprio palazzo con le opere del Mantegna, mentre la tomba di re Enrico VII fu realizzata da Pietro Torrigiani, contemporaneo di Michelangelo. E questo movimento non fu solo a senso unico: la musica di John Dunstable veniva cantata nelle cappelle europee, mentre pregevoli sculture in alabastro di Nottingham possono ancora essere ammirate nelle cattedrali della Spagna, della Croazia e della Polonia. I vincoli sembravano indistruttibili.
E invece, a cinquant'anni dalla Riforma, questa nazione un tempo devotamente cattolica, legata a Roma da vincoli di fede, di studio e di arte, aveva ripudiato la sua fedeltà a Roma, abbattuto i suoi grandi monasteri e giustiziato i sacerdoti che in passato solitamente ne avevano amministrato la vita religiosa. Come ciò possa essere accaduto è al centro di un dibattito attuale e appassionato. L'effetto sulla coscienza cattolica inglese fu comunque devastante e duraturo. I cattolici si sentivano ai margini della società, una minoranza perseguitata e odiata. Sconvolti e pieni di risentimento, vedevano le loro antiche chiese e cattedrali ormai nelle mani della religione riformata. Le feste cattoliche furono bandite, le devozioni cattoliche meticolosamente sradicate. Isolati dal loro passato, per i cattolici l'Inghilterra divenne un Paese straniero. Dopo la scomunica del loro sovrano da parte del Papa furono condannati come antinglesi e traditori. Anche di recente un corrispondente del «London Times» ha fatto notare che i grandi nemici storici dell'Inghilterra, dall'Armata spagnola a Napoleone e perfino Hitler, erano tutti cattolici. Il mito è ben radicato.
La comunità cattolica dopo la Riforma era piccola, sparpagliata, timorosa. Quelli rimasti sopravvissero mantenendo un basso profilo. Dopo il tentativo da parte dei cattolici, nel 1605, di fare saltare in aria il re e il Parlamento, il leader dei cattolici inglesi raccomandò l'osservanza di un giuramento di fedeltà proposto da re Giacomo i (aspramente criticato da san Roberto Bellarmino). Nel diciottesimo secolo, il vescovo Challoner consigliò a Roma di non istituire una gerarchia cattolica nelle colonie americane per timore di offendere la corona britannica. Questo briciolo di cautela continua a essere un elemento forte nel cattolicesimo inglese; in generale ci sono diffidenza dinanzi a una religione vistosa, paura di parlare a voce troppo alta, l'impulso a utilizzare la persuasione piuttosto che l'aggressione. In quegli anni di persecuzione, la tradizione cattolica inglese fu espressa nella maniera più sicura attraverso la scrittura. I gesuiti Edmund Campion e Robert Southwell, come anche il convertito Richard Crashaw, usarono il periodo più florido della lingua inglese per dare ali alla loro fede. Lo stesso vescovo Challoner con The Garden of the Soul donò ai cattolici inglesi uno dei loro classici eterni. Lo stato d'animo prevalente era quello di una tenacia non ostentata. Fu quindi con un certo raccapriccio che i prudenti cattolici inglesi guardarono all'avvento, nel diciannovesimo secolo, dell'ultramontanismo, ovvero all'importazione di forme trionfali di cattolicesimo. Nessuno lo ha impersonato più di Nicholas Wiseman, primo arcivescovo di Westminster, che divulgò con grande clamore il ripristino della gerarchia cattolica nel 1850, dichiarando: «Gli anelli d'argento della catena che ha collegato l'Inghilterra alla Sede di Pietro vengono trasformati in oro lucido». Al che la regina Vittoria rispose: «Sono o non sono regina d'Inghilterra?».

Comparvero menti più razionali. John Henry Newman e i suoi compagni anglicani convertiti corrispondevano istintivamente al temperamento inglese. «Il vero gentiluomo -- secondo Newman -- evita accuratamente tutto ciò che può provocare dissonanze o produrre choc negli altri». Il loro contributo permise al cattolicesimo inglese moderno di acquisire il proprio sapore distintivo, profondamente leale a Roma, ma restio all'ostentazione, orgoglioso del suo antico retaggio, ma disposto ad adattarsi alle nuove circostanze. Questo cattolicesimo esercitava la stessa attrazione sia sugli aristocratici, sia sui lavoratori (si racconta che il duca di Norfolk sia stato visto pregare accanto a un operaio irlandese). Esso rimase distintamente letterario, vantando nomi famosi come G.K. Chesterton, Gerard Manley Hopkins, Evelyn Waugh, Graham Greene, J.R.R. Tolkien.

Man mano che cresceva il coraggio, emergevano sempre più segni tangibili della presenza cattolica: furono costruite cattedrali per le nuove sedi inglesi a Westminster e a Birmingham. L'architetto Pugin fu il paladino della rinascita gotica come forma d'arte dichiaratamente cattolica negli ambienti civili ed ecclesiastici. I cattolici inglesi contribuirono anche a trasformare il panorama sociale: il cardinale Manning risolse lo sciopero dei portuali del 1889 e fu membro della commissione reale per i poveri. La rete di scuole ed enti cattolici, istituita nel diciannovesimo secolo, dà tuttora un contributo essenziale alla vita inglese.
A lungo caricaturato come “missione italiana presso gli irlandesi”, negli ultimi anni il cattolicesimo si è arricchito grazie all'immigrazione dall'Europa dell'est, dall'Africa e dall'Asia, con numeri in crescita e persone che professano con orgoglio la propria fede, senza il peso della complessa storia del cattolicesimo in questo Paese. Attualmente il cattolicesimo inglese ha un carattere internazionale e una portata universale da far invidia alle altre comunità cristiane. E, poco a poco, il cattolicesimo ha assunto il proprio posto al centro della nazione. L'epocale visita della regina Elisabetta ii alla cattedrale di Westminster nel 1995 è stata, secondo il cardinale Basil Hume, la guarigione di un sentimento di esclusione durato quattrocento anni. Le visite dei pontefici Giovanni Paolo e Benedetto, che hanno avuto un grande successo, hanno smentito i critici e toccato un senso più profondo di tolleranza e di correttezza nel cuore degli uomini e delle donne inglesi. In una società in cui i valori mutano rapidamente e le vecchie certezze vengono messe in discussione, il cattolicesimo è una delle ancore dell'identità, che contribuisce al dibattito nazionale e unisce piuttosto che escludere. È questo il messaggio che sua altezza il duca di Gloucester, cugino della regina Elisabetta, porterà al Venerabile collegio inglese durante la sua visita, il 1° dicembre, per commemorare la Giornata dei martiri inglesi insieme agli studenti eredi di Campion e Sherwin.
Il 650° anniversario dell'ospizio inglese a Roma riguarda gli antichi edifici in via di Monserrato, sede del Venerabile collegio inglese, che lo ha sostituito. Le due fondazioni rispecchiano le due identità del cattolicesimo inglese: la prima ricorda la fede antica del Paese, la seconda gli anni di persecuzione e di esclusione. Tuttavia, proprio come le due fondazioni occupano lo stesso sito, così i due aspetti della tradizione cattolica inglese non sono mai stati del tutto distinti tra loro; l'uno dimora accanto, o dentro, all'altro. È questo che contribuisce alla perseveranza e alla vitalità della fede nel nostro Paese.

(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2012)

1 commento:

Andrea ha detto...

Buon articolo, da cui però manca il "segreto di Pulcinella" (quello che tutti conoscono): che gli ambienti direttivi del sistema politico/religioso inglese (Corte e gerarchie anglicane) sono pressoché integralmente massonici.
Anzi, sono proprio quelli gli ambienti che concepirono e fondarono la Massoneria (XVIII secolo).

Per "trapianto", i presidenti USA sono stati quasi tutti massoni. Uno dei pochi (l'unico?) a non esserlo fu Kennedy (cattolico di estrazione irlandese).

Per concludere:

1- l'espressione "la PROPRIA fede" -purtroppo abusata- è intollerabile.
I Martiri non sono morti per se stessi (con la propria "fede"), ma per Cristo (cui erano uniti tramite la Santa Fede)
2- principali nemici d'Inghilterra, tutti cattolici: Armata Navale di Spagna sì (continue aggressioni dell'Inghilterra, soprattutto sulla rotta Spagna-Americhe, spesso tramite la pirateria); Napoleone e Hitler.. due anticristi