giovedì 29 novembre 2012

Una presenza profetica. Incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee sui migranti

Incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee sui migranti

Una presenza profetica


Una presenza “profetica”, che porta in sé le lotte e le sofferenze di milioni di persone, con le sfide che la loro presenza richiama. Definizione evocativa di un popolo in cammino, alla ricerca continua di un'identità negata, quella usata dal cardinale Antonio Maria Vegliò, intervenuto ieri, martedì 27 novembre, alla giornata inaugurale dell'incontro europeo per i direttori della pastorale per i migranti, organizzato a Roma fino al giovedì 29 dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee).

I vescovi europei dunque hanno puntato ancora una volta il loro obiettivo su un fenomeno, quello migratorio, divenuto tema di bruciante attualità politica in varie parti del mondo. Normale dunque che la Chiesa gli dedichi una particolarissima attenzione. Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, cardinale Vegliò, ha sottolineato per questo la necessità «che le comunità parrocchiali e le singole diocesi, le istituzioni educative e i mezzi di comunicazione d'ispirazione cattolica, come pure gli organismi pastorali e le conferenze episcopali, affrontino la difficile questione per rispondere, in una visione cattolica, alla complessità del fenomeno migratorio». Per avere conferma di simile necessità basta pensare all'aumento della pressione migratoria nel territorio dell'Unione europea, oppure ai migranti latinoamericani «che cercano di entrare o già vivono negli Stati Uniti d'America», o alla diversità culturale dei popoli nel Medio Oriente e ai flussi di coloro che chiedono asilo in Oceania. Ed è naturale che in un quadro di tali proporzioni, la sollecitudine pastorale per la mobilità umana «si confermi elemento importantissimo -- ha ribadito il cardinale -- nella pastorale ordinaria della Chiesa. Ciò costituisce un'attenzione costantemente presente, anzi una preoccupazione che continua a crescere».
Questa massa di persone che si muove porta con sé un bagaglio enorme di valori culturali, umani e religiosi. Ed è innegabile che le implicazioni sian0 non solo tali «da promuovere la diversità culturale», ma «abbiano anche il potere di cambiare le dimensioni demografiche, economiche e sociali dell'intero pianeta» e di presentarsi come «una forza di trasformazione».
Per di più ci sono da considerare lo stretto legame tra l'evangelizzazione e la migrazione, e il rapporto esplicito tra la nuova evangelizzazione e il movimento dei popoli in tutto il mondo. Il cardinale Vegliò ha sottolineato particolarmente questo aspetto citando quanto scritto nel messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale delle migrazioni 2012: «La Chiesa è posta di fronte alla sfida di aiutare i migranti a mantenere salda la fede, anche quando manca l'appoggio culturale che esisteva nel Paese d'origine, individuando anche nuove strategie pastorali, come pure metodi e linguaggi per un'accoglienza sempre vitale della Parola di Dio».
Le cronache di ogni giorno peraltro fanno capire quanto ci sia bisogno dell'intervento della Chiesa accanto a questo popolo sofferente. Una presenza «che sia di stimolo alla comunità internazionale» perché «possa concordare un quadro normativo rispettoso della giustizia e della solidarietà e, soprattutto, della dignità di ogni persona umana. Non esiste autentica difesa dell'essere umano -- ha detto il porporato -- se non tiene in giusta considerazione sia lo sforzo di coniugare legalità e sicurezza sia la tutela prioritaria della centralità e della dignità di ogni individuo, a prescindere dal suo status giuridico, nella legalità o nella irregolarità».
Il cardinale ha infine posto l'accento sull'importanza dell'approccio umano al problema. «Non stiamo parlando di numeri e di statistiche -- ha detto -- ma ci occupiamo di uomini e donne, genitori, bambini e famiglie, per i quali “invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa un calvario per la sopravvivenza”, come scrive Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata mondiale del prossimo anno». La risposta più efficace che la Chiesa può offrire in questi tempi difficili, ha concluso, consiste dunque nel «fare quello che ha sempre fatto, ma con maggiore generosità e urgenza».
In apertura dell'incontro il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e presidente della sezione migrazioni della commissione Caritas in veritate in ambito Ccee, aveva rivolto un saluto ai partecipanti. Quindi aveva proposto alcune riflessioni sulle strutture della Chiesa come luoghi di accoglienza per chiunque bussi alle loro porte e in qualsiasi parte del mondo, e sulla necessità di «offrire a tutti la possibilità di incontrarsi con Gesù». Un aspetto, questo, essenziale della missione, che, proprio per questa sua essenzialità, richiede anche di andare alla ricerca «di chi è appena arrivato e spesso si sente solo e senza speranza».
Il saluto ai partecipanti a nome della Chiesa in Italia è stato porto dal vescovo ausiliare di Roma Paolino Schiavon, presidente della Migrantes italiana. «L'Italia -- ha fatto notare tra l'altro -- da Paese di emigranti (con ancora oggi 4.200.000 emigrati all'estero) è diventato con i suoi oltre 5 milioni di immigrati anche un Paese di forte pressione migratoria in Europa». Un fatto nuovo, cresciuto velocemente in questi ultimi dieci anni, che si presenta per i vescovi come una vera sfida educativa. Per affrontarla, ha spiegato, ci si muove su quattro direzioni. L'informazione innanzitutto, per aiutare a cambiare l'opinione pubblica, «spesso costruita su cronaca nera e con uno stile caratterizzato dal ricorso agli stereotipi», mostrando l'aspetto della migrazione e denunciando ingiustizie e ogni forma di debolezza democratica nella città o di insofferenza o incapacità di relazione nelle comunità. In secondo luogo, la promozione di un lavoro di «ricerca in ordine ai mondi a noi affidati: gli emigrati, gli immigrati, i rifugiati e profughi, la gente dello spettacolo viaggiante, i rom e i sinti».
In terzo luogo, la formazione degli operatori, in collaborazione con gli altri organismi della Cei stessa, nella prospettiva di una pastorale integrata e integrale. Infine il coordinamento e la progettazione degli operatori e delle esperienze diocesane e regionali nel mondo delle migrazioni e della mobilità.

(©L'Osservatore Romano 29 novembre 2012)

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