venerdì 30 novembre 2012

In dialogo con il mondo. A colloquio con il cardinale Philippe Barbarin in occasione della visita «ad limina» di vescovi francesi (Gori)

A colloquio con il cardinale Philippe Barbarin in occasione della visita «ad limina» di vescovi francesi

In dialogo con il mondo


di Nicola Gori


È un invito al coraggio, a trovare nuove forme per annunciare il Vangelo in una società ampiamente secolarizzata, e a tratti indifferente, quello che il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, rilancia nell'intervista al nostro giornale. La speranza è che «i francesi, con la fiducia in Dio, riscoprano tra l'altro il valore insostituibile del matrimonio cristiano tra un uomo e una donna» e la ricchezza del dialogo tra tutte le culture e tra fede e ragione. Con la certezza di rinvigorire questa speranza il porporato si appresta a compiere in questi giorni la visita ad limina Apostolorum.


Quanto è importante il dialogo tra fede e cultura nella società francese di oggi?


Il dialogo interculturale è sempre esistito. Si pensi agli scambi tra ebrei, musulmani e cristiani nel medioevo. Oggi possiamo trovare nuovi stimoli guardando a Giovanni Paolo II -- penso in particolare, all'enciclica Fides et ratio -- e nell'attitudine intellettuale così aperta di Benedetto XVI. Tutti ricordano del suo dialogo con il filosofo Jürgen Habermas. Recentemente poi, il Pontificio Consiglio della Cultura ha preso l'iniziativa di organizzare dei Cortili dei gentili in differenti grandi città. Sono dei luoghi in cui la fede cristiana entra in dialogo pubblico con la cultura contemporanea. In quanto a me, ho spesso occasione di incontrare i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane, delle altre religioni, ma anche di filosofi come Luc Ferry o André Comte-Sponville. È sempre un arricchimento scoprire il pensiero di un altro; lo scambio ci aiuta a precisare e approfondire il nostro così come ad affinare l'espressione della nostra fede. Ciò ha una dimensione orizzontale? Lo spero bene, poiché abbiamo tutti per obiettivo di comprendere e di servire l'uomo.


La secolarizzazione per la Chiesa rappresenta un'opportunità o una sconfitta?


Una sconfitta? Forse. È sempre utile fare un esame di coscienza. Dobbiamo lasciarci interrogare. È chiaro che la nostra attitudine di discepoli di Cristo è lontana dall'essere quello che avrebbe dovuto essere in diversi momenti della storia. Di fronte alla secolarizzazione io parlerei di un avvertimento, un appello alla vigilanza per noi, oggi e domani. Ma occorre risolutamente andare avanti e rimettere il passato alla misericordia di Dio. L'ultima consegna di Gesù resta ancora attuale: «Andate, insegnate a tutte le nazioni...», e «sarete miei testimoni». Questa missione deve essere compiuta in un contesto veramente nuovo, all'interno di una società ampiamente secolarizzata. Dio offre la sua grazia in ogni momento della storia. Generosamente, dona «l'equipaggiamento» di cui abbiamo bisogno per rendere testimonianza nelle circostanze attuali. Ci sono delle questioni che sono eterne, ma ci sono anche molti interrogativi e situazioni nuove. Mi rallegro nel vedere tante iniziative prese nella mia diocesi, in Francia e nella Chiesa intera, per rilanciare la sfida dell'evangelizzazione in un mondo secolarizzato. Noto un reale slancio missionario nei cattolici francesi.


Il cinquantesimo dall'apertura del concilio Vaticano II dà lo spunto per riflettere su quale attuazioni abbiano avuto le raccomandazioni dei padri conciliari.


Certamente la Dei verbum ha segnato una svolta: la Parola di Dio, di cui l'Agnello stesso ci apre i sigilli è diventata il cibo di tutti e la sorgente che irriga la vita delle parrocchie e di tutte le comunità cristiane. Siamo coscienti che c'è ancora molto da fare. Potrei dire altrettanto del rinnovamento liturgico, del mistero della Chiesa, dell'attenzione al «mondo di questi tempi», dell'ecumenismo, del dialogo interreligioso. Nelle visite pastorali, la mia gioia più grande è di vedere in ogni parrocchia una équipe d'animazione e un gruppo più ampio, di 30, 60 o 100 persone che collaborano con il parroco e l'équipe pastorale. Si sentono veramente responsabili, non solo della vita e della buona organizzazione della parrocchia, ma anche della sua missione, dei bisogni e delle attese di tutti quanti, uomini e donne, che il Signore ci dona di incrociare e di servire. Nella primaziale San Giovanni di Lione stiamo per installare un vero ambone in pietra, in armonia con l'altare. Questo anniversario ci ha dato l'occasione di rileggere il concilio e di rimetterci al lavoro per mettere in opera tutto quello che ci propone.


Si è parlato dei malintesi del "matrimonio per tutti": progresso democratico o rottura sociale?


«Matrimonio per tutti», non è un progetto, è uno slogan. Basta aprire il progetto di legge per leggere che questo testo non riguarda i membri di una stessa famiglia. Dunque, non è «per tutti». Inoltre, come ha fatto notare padre Valadier, è un testo di una grande povertà. Si è dichiarato «esterrefatto dalla leggerezza del governo» e «sconfortato dalla debolezza e dalla vacuità degli argomenti». Essenzialmente, in fondo, è una menzogna. Comprendo che il legislatore voglia dare dei diritti a membri della società che soffrono per ingiustizie o discriminazioni. Ma non vedo come possa arrogarsi il diritto di cambiare il senso delle parole. Un matrimonio, tutti lo sanno, è l'unione tra un uomo e una donna. Non saranno i Parlamenti del XXI secolo che lo cambieranno. Il patriarca di Lisbona, dopo il voto di questa legge in Portogallo, dove l'adozione non è autorizzata, ha detto: «Ma rassicuratevi, tutti sanno quello che è un matrimonio». Io, come anche altri preti, sono in dialogo con numerose persone omosessuali. Sanno che sono amate e che saranno sempre accolte. Gli ricordo soprattutto che comunque Dio veglia su tutti e dice a ciascuno: «Tu sei prezioso ai miei occhi». Auguro che ognuno ascolti l'appello di Cristo e sia aiutato a corrispondervi.


Integrazione sociale e dialogo interreligioso. Due sfide per la Chiesa.


Non ho grandi competenze sociologiche per parlare di integrazione dal punto di vista sociale. Capisco che entrare nella tradizione e nella cultura francese non è la stessa cosa per chi arriva da un Paese latino, da un Paese slavo, dal Maghreb o dall'Africa subsahariana, dall'Asia o dall'America latina. I musulmani con i quali sono in dialogo sono molto preoccupati di porre le basi di un islam di Francia. Soffrono delle divisioni e delle pressioni politiche che vengono da Marocco, Algeria o Turchia. Recentemente, un responsabile musulmano di Lione, che ha partecipato alla manifestazione del 17 novembre contro il progetto di legge sul matrimonio, esprimeva le ragioni per le quali si trovava là e si rammaricava che i musulmani non erano stati più numerosi. Ringraziava la Chiesa cattolica per la chiarezza su questo tema. Chi ha letto i testi del pastore Claude Baty, presidente della federazione protestante, del grande rabbino di Francia, Gilles Bernheim, di M. Moussaoui, presidente del consiglio francese del culto musulmano, e quello della commissione episcopale famiglia e società ha potuto vedere come queste parole erano differenti ma chiaramente convergenti. A Lione, abbiamo preso l'abitudine di organizzare ogni due anni una giornata di incontro tra preti e imam. È un momento molto ricco e utilissimo per progredire nella conoscenza e nel rispetto reciproco. All'inizio di dicembre avrà luogo, sempre a Lione, il secondo forum nazionale islamo-cristiano. Personalmente, trovo che il dialogo con gli ebrei progredisca realmente. Me ne rendo conto negli scambi pubblici che ho abbastanza regolarmente con il grande rabbino Gilles Bernheim e anche durante gli incontri con i grandi rabbini americani, ai quali il cardinale Vingt-Trois, sulla scia del cardinale Jean-Marie Lustiger, invita ogni anno un gran numero di vescovi. Non abbiamo più paura di affrontare questioni difficili. Siamo capaci di stimarci e di continuare ad ascoltarci, anche quando si manifesta un disaccordo profondo.


Qual è il ruolo dei mass media nella nuova evangelizzazione?


Sono un elemento essenziale della vita sociale attuale. Dunque, non possono essere ignorati o lasciati da un lato nella missione dell'evangelizzazione dei nostri contemporanei. Si dice spesso che essere assenti dai media, è «cessare di esistere». L'espressione mi fa sorridere perché non vedo chi, nella Chiesa, è presente in maniera così intensa come le carmelitane, le trappiste, o i certosini dei quali i media non parlano mai! Detto ciò, se la Gaudium et spes chiede alla Chiesa di essere «nel mondo di questi tempi», ponendosi come serva, va da sé che dobbiamo prendere il nostro posto nell'universo mediatico. Il problema, sicuramente, è che la logica dei media non è sempre coerente. Hanno per missione di informare, ma all'improvviso la logica si inceppa a causa del diktat delle percentuali di ascolto e, talvolta, è tutto il sistema che si spaventa a causa della ricerca sfrenata del far parlare di sé. Mi sembra che dobbiamo lavorare con i mezzi della nostra epoca e anche provare a essere all'avanguardia. Ma occorre anche misurare i rischi, sapere che non è possibile del tutto anticipare né controllare e, come ha detto recentemente il cardinale Ricard, tutto ciò può condurre a un vero martirio mediatico.


(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2012)

Nessun commento: